di Clelia Alleri, Mara Congeduti, Sabrina Pittarello, Francesca Stangherlin *
Tra le prime misure adottate dal governo italiano per far fronte al contenimento del contagio da Covid-19 vi è stata la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado. Tale misura, in uno col distanziamento sociale, il confinamento nelle abitazioni private, il blocco di gran parte delle attività produttive durante il lockdown e le progressive riaperture stabilite a partire dal 4 e, poi, dal 18 maggio, ha imposto la rimodulazione delle attività che tradizionalmente si svolgono al di fuori dalle mura domestiche.
L’attività didattica si è strutturata in nuove forme “a distanza” (Dad), attraverso lezioni on-line che hanno costretto gli alunni a prendere dimestichezza con gli strumenti informatici, i più piccoli necessariamente con l’ausilio dei genitori, in prevalenza le madri. La nuova didattica, ridefinita “smartschooling”, si è sin da subito affiancata allo “smartworking”.
Tale modalità di lavoro – che nella forma “deregolamentata” introdotta dalla normativa emergenziale ha perso gran parte dei connotati “smart” che caratterizzano la tipologia del lavoro agile (l. n. 81/2017) da cui è mutuata (non sono richiesti i fondamentali “accordi individuali” tra datore di lavoro e lavoratore per la sua attivazione) – è stata infatti prescelta dal governo per fronteggiare l’emergenza sanitaria, rispondendo alla duplice finalità di consentire alle aziende private e alle pubbliche amministrazioni di avvalersi della prestazione di lavoro dei propri dipendenti “a distanza”, nel contempo garantendo performance individuali e livelli di produttività.
L’imposta rimodulazione delle attività lavorative e didattiche ha determinato – in particolare per le lavoratrici madri – l’improvviso aumento all’interno delle mura domestiche degli ordinari compiti di cura ed educazione dei figli, cui si sono aggiunti i compiti di istruzione delegati dal sistema scolastico e quelli connessi all’adempimento degli obblighi contrattuali nei confronti del datore di lavoro.
In tale situazione, le decisioni prese dalla ministra Lucia Azzolina in ordine alla mancata riapertura delle scuole per l’anno scolastico 2019/2020 e alla necessità di elaborare, per quello 2020/2021, un “piano di rientro graduale e calibrato” – di cui ad oggi si conoscono solo le prime indiscrezioni relative alle “linee guida” predisposte dal Comitato Tecnico Scientifico – continuano a destare grande preoccupazione nelle lavoratrici madri, anche nell’ottica del ritorno alle ordinarie modalità di lavoro “in presenza” e della totale riapertura delle attività produttive.
Non può, infatti, non rilevarsi l’inadeguatezza delle misure adottate dal governo per fornire sostegno ai “genitori lavoratori”, dapprima col “Decreto Cura Italia”, poi col “Decreto Rilancio”. Tali misure, pur riconosciute ad entrambi “i genitori lavoratori”, non garantiscono la reale parificazione tra le figure genitoriali nella gestione delle nuove esigenze familiari determinate dalla pandemia in atto e trasferiscono il “rischio” economico nella stessa insito direttamente sulle famiglie e, in particolare, sulle madri.
Da un lato, infatti, il “congedo Covid-19” è compensato con un’indennità pari al 50% della retribuzione (il che lascia presumere che a fruirne saranno soprattutto le donne che, notoriamente, soffrono di un gap retributivo rispetto agli uomini); dall’altro, il bonus “baby-sitting” fino a euro 1.200 (per i lavoratori pubblici fino a euro 2.000) copre solo in parte l’orario lavorativo del genitore che ne usufruisce, né è chiaro se sarà sufficiente a coprire i costi dei centri estivi – ad oggi non ancora resi noti – che dovrebbero essere riattivati a partire dal 15 giugno.
Si delinea, così, il pericolo di una progressiva fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro, soprattutto in quei contesti lavorativi nei quali già esiste un gap retributivo tra uomini e donne a parità di mansioni svolte, nonché con riferimento a quelle tipologie di mansioni che – essendo incompatibili con lo smartworking per richiedere lo svolgimento “in presenza” dell’attività lavorativa (si pensi alle mansioni di cassiera o di addetta alle pulizie) – non offrono alle lavoratrici madri, soprattutto di figli in tenera età, alcuna valida alternativa.
Ciò a maggior ragione vale per le lavoratrici autonome che non beneficiano di alcuna misura di sostegno del reddito che le garantisca da un’assenza prolungata dall’attività lavorativa per dedicarsi alla cura dei figli (se si eccettua il cosiddetto “bonus autonomi” confermato anche dal “Decreto Rilancio”).
E’, d’altra parte, “noto che le lavoratrici madri cumulano il fattore di rischio costituito dal sesso femminile con il fattore di rischio costituito dalla maternità e che […] specialmente se con figli in età da scuola dell’infanzia, materna o primaria, si trovino frequentemente a dover far fronte a impellenti e imprevedibili esigenze connesse all’accudimento della prole” (così, Trib. Firenze, ord. del 22.10.2019, rich. da M. Vitaletti, in GiustiziaCivile.com del 19.3.2020).
A tale proposito, la recente Direttiva Comunitaria n. 1158/2019 ha individuato nella “difficoltà di conciliare l’attività professionale con gli impegni familiari” il principale motivo della “sottorappresentazione” delle donne nel mercato del lavoro: “quando hanno figli, le donne sono propense a dedicare meno ore al lavoro retribuito e a dedicare più tempo all’adempimento di responsabilità di assistenza non retribuite”, tra cui si inseriscono d’imperio – nell’attuale situazione – anche quelle di delega dell’attività didattica da parte del servizio scolastico.
Pur essendo apprezzabili le misure da ultimo introdotte nel tentativo di fornire un sostegno alle famiglie, attraverso la riapertura dei servizi integrativi educativi a partire dal 15 giugno, non può non evidenziarsi la natura emergenziale di tali misure, la stessa che caratterizza i “congedi Covid-19” e i vari “bonus” erogati a sostegno delle famiglie e del lavoro dei genitori.
Per il prossimo futuro si auspica che il governo sia in grado di offrire – a partire dall’imprescindibile riattivazione del sistema scolastico – soluzioni maggiormente idonee a garantire una concreta condivisione della genitorialità e il conseguente ri-equilibrio delle esigenze lavorative e familiari delle lavoratrici madri, pena la loro espulsione dal mondo del lavoro.
* Avvocate giuslavoriste, esercitiamo la professione a Bologna. Nel più ampio costante confronto con tutte le problematiche connesse al diritto del lavoro privato e pubblico siamo, anche in quanto madri di figli in tenera età, particolarmente sensibili alla tutela della lavoratrice madre nel mondo del lavoro.
L’articolo Coronavirus, senza misure idonee si rischia l’uscita delle donne dal mercato del lavoro proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Fonte: ilfattoquotidiano.it