Lombardia, infermieri: “La Regione ha sbagliato i conti, dimezzato il premio promesso a chi è stato in prima linea contro il Covid”. Poi l’accordo in extremis grazie ai soldi del decreto Rilancio

La Regione Lombardia aveva sbagliato i conti sul premio agli infermieri che sono stati in prima linea nelle settimane dell’emergenza coronavirus. E alla fine è stata l’iniezione di risorse prevista dal decreto Rilancio del governo a salvare il tavolo con i sindacati sul bonus fino a 1.250 euro lordi promesso dal presidente Attilio Fontana e dall’assessore al Welfare Giulio Gallera. Poco più di 31 milioni che venerdì pomeriggio hanno permesso alla direzione generale Welfare di chiudere in extremis la partita dopo giorni di altissima tensione. Perché, leggendo la delibera 3225 approvata il 9 giugno, le sigle di categoria avevano scoperto un buco che avrebbe dimezzato la cifra netta destinata ad arrivare nelle tasche degli “eroi del Covid” a fine mese: al netto dell’Irpef dovuta, il resto se ne sarebbe andato tra oneri riflessi e Irap trattenuti in busta paga. Una beffa, visto che nell’accordo firmato il 26 maggio da Fp Cgil, Fp Cisl, Uil Pfl e Fials non c’era traccia di quella decurtazione.

Per capire come è nato il corto circuito bisogna tornare indietro di qualche settimana. Il 22 maggio era stato lo stesso governatore Fontana ad annunciare su Facebook lo stanziamento, con la legge regionale 9 del 4 maggio 2020, di 223 milioni complessivi per “gli incentivi e il bonus per lo straordinario lavoro compiuto durante l’emergenza Covid” da “medici, infermieri e operatori sanitari”. Per gli infermieri la Regione aveva messo a disposizione 82 milioni. Quattro giorni dopo i sindacati di categoria, con cui il confronto era iniziato già a fine marzo nel pieno dell’emergenza, avrebbero firmato l’accordo con dirigenti regionali e direttori delle Asst.

La tabella nel verbale di accordo divide il personale non medico in quattro fasce e prevede un premio una tantum di 1.250 euro per gli infermieri che abbiano lavorato a stretto contatto con i pazienti Covid, cifra che scende a 850 euro per i colleghi che sono stati operativi in reparti non Covid, 350 euro per chi abbia svolto attività amministrative e 150 per chi invece sia stato in smartworking. “Cifre che erano intese come lordo in busta paga, come sempre avviene in trattative di questo tipo”, spiega Manuela Vanoli, segretaria generale Fp Cgil Lombardia. “Ma la Regione non aveva calcolato che per garantire quel lordo avrebbe dovuto mettere sul piatto risorse aggiuntive per coprire i cosiddetti oneri riflessi e l’Imposta regionale sulle attività produttive che gravano sul datore di lavoro, in questo caso le aziende sanitarie. Due giorni fa ci hanno detto di essersi resi conto di questo problema…”.

E infatti nella delibera del 9 giugno si legge che le risorse stanziate sono “comprensive di oneri e Irap“. Giovedì, dopo le prime critiche arrivate da alcuni consiglieri regionali del Pd, l’assessore al Welfare Gallera si è detto stupito per la “strumentalizzazione politica” e ha sostenuto che “le modalità di erogazione del ‘bonus’ a medici e infermieri sono sempre state chiare, trasparenti e condivise“. Vanoli smentisce: “L’accordo del 26 maggio non era questo: noi abbiamo firmato per distribuire ai lavoratori l’intera cifra prevista”.

Per non perdere la faccia occorreva uno stanziamento aggiuntivo. Per fortuna di Fontana, nel frattempo è entrato in vigore il decreto Rilancio che all’articolo 2 mette a disposizione 430,9 milioni in più per remunerare il lavoro straordinario del personale del comparto sanità. Di quei soldi, 31,6 milioni spettano alla Lombardia. Che, come si legge nel nuovo accordo, ne userà 28 per rimpinguare i fondi regionali e uscire dall’impasse. “La nuova tabella specifica che il costo lordo per l’azienda sale a 1.666 euro per la fascia più alta, cosa che consente di confermare i 1.250 euro lordi massimi, più di qualsiasi altro accordo regionale”. Il netto ovviamente sarà ben più basso: “Parliamo di 900-1000 euro“, attacca Angelo Macchia, referente per la Lombardia del sindacato autonomo Nursing Up, che non ha firmato l’intesa di maggio né quella di oggi “perché dal nostro punto di vista le risorse vanno concentrate solo lo su chi ha combattuto Covid e non devono andare, per esempio, a chi era in smart working”.

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Fonte: ilfattoquotidiano.it