Cassa integrazione in deroga: ecco gli errori politici e il labirinto di procedure che ha portato ai ritardi

I numeri drammatici dei ritardi dei pagamenti da parte dell’INPS spingono i commentatori a interrogarsi sulla scelta fatta dal Governo, a partire dal DL Cura Italia di marzo, rispetto al sistema e la procedura di accesso al sostegno al reddito per le imprese prive di strumenti ordinari di integrazione salariale che hanno dovuto far richiesta di Cassa integrazione “in deroga”.

Ad andare a fondo del problema è oggi il Corriere della Sera in Edicola che analizza le scelte del Governo, che hanno poi portato ai ritardi di questi giorni:

“a complicare le cose è arrivata la decisione di coinvolgere di nuovo le regioni nella cassa in deroga. Con l’aggravante che un tempo le regioni contribuivano con fondi propri mentre oggi non riescono a mettere un euro”.

Dunque secondo il quotidiano milanese uno degli errori che avrebbe portato ai ritardi è stata la scelta di coinvolgere le Regioni, senza però trarne benefici.

Il coinvolgimento delle Regioni ha significato la riproposizione del “modello” già sperimentato durante la crisi del 2008-2011 che prevedeva dapprima l’emanazione di un decreto interministeriale (nel caso del recente lockdown arrivato il 23 marzo 2020), la stipula di accordi quadro tra le singole Regioni e le parti sociali, a seguire i tempi tecnici necessari per l’attivazione della piattaforma per la presentazione delle istanze, infine la valutazione e i provvedimenti di autorizzazione da parte delle Regioni e la trasmissione delle domande all’INPS.

Insomma una lunga trafila burocratica che solo nel mese di maggio ha spinto il Governo a modificare, col DL Rilancio, la procedura prevedendo l’invio della domanda direttamente all’INPS ma solo per le richieste di trattamento aggiuntive alle prime 9 settimane.