Il servizio “buste arancioni” cancellato per aumentare lo stipendio a Tridico? Ecco perché è una bufala (e il taglio è su una voce diversa)

Davvero l’aumento di stipendio riconosciuto per decreto a Pasquale Tridico è stato finanziato sulla pelle dei cittadini, interrompendo il programma di spedizione delle “buste arancioni con il calcolo della pensione futura? La risposta è no e per scoprirlo basta leggere la determina 28 del 20 febbraio 2020 del presidente Inps sulla “riduzione strutturale delle spese di funzionamento preordinata alla determinazione degli emolumenti” dei componenti del cda che si sarebbe insediato a metà aprile. Il documento spiega che la spending review decisa con quello scopo (come previsto dal “decretone” di marzo 2019) ha colpito per 261mila euro la voce Manutenzione e noleggio impianti, macchine e apparecchiature sanitarie e per la stessa cifra le Spese postali, telegrafiche e telefoniche degli uffici. Ma l’invio di comunicazioni agli iscritti – comprese le buste arancioni – non grava su quel capitolo dell’enorme bilancio dell’Inps: è a carico del capitolo 5U1210029 – Spese per l’invio di posta massiva, per la gestione della corrispondenza in entrata/uscita e per i servizi di dematerializzazione.

Il “caso nel caso” viene sollevato su Repubblica, che riprende un allarme lanciato da Tito Boeri nel febbraio 2019, al termine della sua presidenza. “La relazione tecnica al decreto su ‘quota 100’ indica che i soldi per i compensi del cda dovrebbero essere presi dal capitolo di spesa che usiamo per mandare le comunicazioni ai cittadini”, aveva spiegato l’economista bocconiano. “Non c’è alcun bisogno di attingere a quel capitolo: solo nel 2018 abbiamo fatto risparmi per circa 30 milioni sulle spese di funzionamento”. In effetti la Relazione tecnica del “decretone” su reddito e quota 100 diceva che i risparmi necessari per corrispondere gli emolumenti a presidente, vicepresidente e cda (ricostituito dopo che il governo Berlusconi aveva concentrato quasi tutti i poteri nelle mani del presidente) sarebbero stati “conseguiti in via prioritaria attraverso le riduzioni di spesa concernenti la posta massiva, di cui al capitolo 5U1210029“. E lì c’erano anche le buste arancioni, per un costo di circa 700mila euro.

Ma la decisione finale su dove sforbiciare, a parità di risultato, spettava all’istituto, che peraltro da anni – come ricordato da Boeri – è soggetto a disposizioni di contenimento delle spese ben più severe rispetto ai 522mila euro complessivi di cui si parla ora. Quel che conta è che il 27 novembre 2019 il direttore generale Inps ha deciso di tagliare di 261mila euro non la voce a cui fa capo la “posta massiva” (già ridotta a poco più di 70 milioni dai quasi 100 del 2016) ma quella che copre, per esempio, l’invio di atti giudiziari a chi non ha pagato i contributi. Un capitolo che nel 2019 è stato tagliato nel complesso di 8,7 milioni su 14,5, principalmente grazie a un nuovo contratto con Poste italiane.

Che c’entrano, dunque, le Buste arancioni? Nulla, anche perché l’invio su larga scala promosso da Boeri a partire dal 2016 (non senza critiche, perché le proiezioni contenute nelle missive erano basate su parametri ottimistici come una crescita del pil dell’1,5% annuo e un’inflazione al 2%) era stato sospeso prima dell’arrivo di Tridico all’Inps. Non per ridurre la trasparenza sulle pensioni, ma in nome della sempre invocata digitalizzazione. L’istituto infatti ha messo a disposizione degli iscritti anche un simulatore online, La mia pensione, più completo della busta arancione perché consente di simulare scenari diversi in base per esempio alla possibile evoluzione di carriera, con relativi aumenti, e a una minore crescita del prodotto interno, da cui dipende la rivalutazione dei contributi versati. Non a caso le lettere cartacee, durante la gestione Boeri, venivano spedite solo a chi era privo di pin Inps e di Spid. Negli ultimi anni, e soprattutto nei mesi del Covid, la situazione su quel fronte è molto cambiata: 27 milioni di persone tra assicurati e pensionati hanno il pin (nel 2016 erano “solo” 18,5 milioni) e un totale di 10 milioni di italiani ha l’identità digitale Spid, che dall’1 ottobre sostituirà il pin come credenziale per i servizi online dell’istituto. Quindi l’accesso al simulatore, dal computer di casa o con l’aiuto dei patronati, è garantito a una platea molto più ampia.

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Fonte: ilfattoquotidiano.it