Sindacati del pubblico impiego in stato di agitazione: “irricevibile il decreto su lavoro agile e smart working”

Aumentare le risorse giudicate insufficienti per i rinnovi contrattuali per il 2021; “premere l’acceleratore sulle assunzioni” e no al decreto ministeriale sul lavoro agile, considerato “irricevibile”. Per tutte queste ragioni “in assenza ad oggi di risposte adeguate” le rappresentanze sindacali dei dipendenti pubblici Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uilpa proclamano lo stato di agitazione in tutti gli uffici e settori del Pubblico Impiego. Lo comunicano in una nota congiunta.

“Per poter chiudere un rinnovo contrattuale degno di questo nome abbiamo avuto la pazienza di attendere l’ultimo anno del triennio ma le risorse che si intendono porre a disposizione per il 2021, ad integrazione delle precedenti, sono del tutto insufficienti”, dichiarano in una nota Serena Sorrentino, Maurizio Petriccioli, Michelangelo Librandi e Nicola Turco, rispettivamente segretari generali di Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Uilpa. “Urge, inoltre, premere l’acceleratore sulle assunzioni, gli uffici pubblici si stanno svuotando, – rimarcano i sindacalisti – l’età media aumenta progressivamente e altri 500mia lavoratori sono prossimi all’uscita tra quota 100 e pensionamenti dovuti all’età. Se non si immettono forze nuove a breve non sarà più possibile favorire il passaggio delle competenze disperdendo in tal modo un patrimonio di conoscenze di enorme valore. Inoltre, aggiungono i sindacati è improcrastinabile procedere alla stabilizzazione dei precari”.

Rispetto al decreto sul lavoro agile commentano: “il provvedimento adottato non da risposte ai lavoratori sullo smart working, da strapotere ai dirigenti su aspetti che oggi sono regolati dalla contrattazione, e non prevede che le misure siano adottate tramite accordi con il sindacato ma affida alla bontà del dirigente che potrà attivare il confronto con i rappresentanti sindacali”. Il no dei sindacati arriva all’indomani del decreto con le norme di applicazione dell’ultimo Dpcm del governo, che dispone che lo smart working si applichi per almeno la metà dei dipendenti.

A stretto giro la replica della ministra della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone sull’irricevibilità delle regole sullo smart working. “La situazione pandemica in questo momento rendeva difficilmente percorribile la strada di un accordo ad hoc” ha affermato Dadone che aggiunge. La sperimentazione sullo smart working “era iniziata da molto tempo, eppure non si era ancora raggiunto il tetto del 10% disposto dai decreti Madia. Invece con la pandemia c’è stato un passo in avanti obbligato, abbiamo dovuto fare di necessità virtù. – spiega Dadone – La digitalizzazione però è lo strumento, non è il fine: il fine è il lavoro di risultato. Non nego che ancora ci sia tanto cartaceo, ma nulla impedisce ai dipendenti di entrare a prendere i fascicoli che poi servono a lavorare da remoto. E’ il processo che va riorganizzato nel suo insieme”. La ministra ha anche detto che “I tavoli con i sindacati erano già stati predisposti, si attendeva solo di conoscere quali erano le risorse messe a disposizione dalla manovra. La contrattazione si aprirà a breve, in vista dei rinnovi contrattuali 2019-2021″.

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Fonte: ilfattoquotidiano.it