Test rapidi dai medici di base, è rottura tra i sindacati: solo la Fimmg firma l’accordo. Cgil: “È operazione di facciata, sicurezza a rischio”

È rottura tra i sindacati dei medici di famiglia che ieri si sono seduti intorno a un tavolo per stilare il protocollo sanitario da applicare quando negli studi medici arriveranno i primi tamponi rapidi. Il decreto Ristori appena varato dal governo, infatti, ha stanziato 30 milioni di euro per consentire a dottori e pediatri di libera scelta di eseguire in autonomia 2 milioni di test antigenici a partire dalle prossime settimane. Un modo per contenere ulteriormente la diffusione del Covid e ridurre le attese per i tanti cittadini che si sono messi in autoisolamento dopo essere entrati in contatto con un caso positivo e magari non sono ancora stati contattati dalle Asl. L’accordo tra le rappresentanze sindacali e la Sisac (Struttura interregionale sanitari convenzionati) sviluppato sulla base dell’Atto di indirizzo della Conferenza Stato-Regioni, però, è stato firmato solo dalla Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) e non dalle altre sigle. Snami, Intesa sindacale e Smi (Sindacato medico italiano) contestano la “mancata garanzia della sicurezza di cittadini e operatori” e l’obbligatorietà per i medici di eseguire i tamponi. La loro richiesta era che il testo fosse modificato, prevedendo un’adesione su base volontaria.

“Non abbiamo siglato l’accordo soprattutto per due motivi. Tenuto conto che è stato finanziato 1 milione e mezzo di tamponi ci è sembrato che la percentuale non incida. Ma incide invece sulla sicurezza degli studi medici e dei cittadini. Dare un obbligo in questo momento a una categoria già in sofferenza ci è sembrato ingeneroso. Riteniamo che fosse importante la volontarietà per i medici di famiglia di fare i test rapidi”, ha tuonato il segretario nazionale del Sindacato medici italiani (Smi) Pina Onotri. Ancora più dura la Fp Cgil Medici, che parla di “un accordo sbagliato, un’operazione di facciata, inutile e pericolosa, che serve solo a coprire le mancanze delle Regioni nell’organizzazione dell’assistenza territoriale”. Secondo il segretario nazionale Andrea Filippi, “non è affidando i tamponi agli studi privati dei medici di medicina generale che si contribuisce ad arginare la travolgente diffusione della pandemia“. Ma soprattutto, prosegue Filippi, “è un accordo pericoloso perché mina la salute di cittadini e medici che non possono garantire la sicurezza necessaria nei loro studi”. Questa intesa, conclude, “lede l’immagine dei medici di medicina generale facendoli passare per dei mercenari che lavorano a cottimo, quando al contrario sono seri professionisti che chiedono di essere tutelati insieme ai cittadini e a tutti gli operatori sanitari e che non vogliono svendere la propria sicurezza e la vita per risorse economiche aggiuntive che il governo potrebbe spendere in modo più appropriato attrezzando luoghi sicuri in contesti integrati per fare i tamponi”.

L’intesa tra sindacati e Sisac è stata raggiunta solo sulla parte economica, che prevede 18 euro da corrispondere al professionista per ogni tampone fatto nel suo studio e 12 euro se il test viene somministrato in una struttura della Asl. Il costo dei tamponi sarà a carico dello Stato e non del paziente. Ai medici di medicina generale verranno forniti i dispositivi di sicurezza da indossare ogni volta che entrerà in contatto con un caso sospetto di Covid. Il timore di molti camici bianchi, però, è che l’effettuazione dei test in proprio sia complessa e non sicura né per gli assistiti, né per gli operatori sanitari nell’ambito delle strutture che hanno a disposizione. Gli studi dovrebbero infatti essere attrezzati con percorsi ad hoc per i sospetti Covid, ingressi separati, sale adibite all’effettuazione dei tamponi, igienizzazione costante degli ambienti e personale preposto all’accoglienza: tutti protocolli che non sempre è possibile rispettare. In più, non ci sarebbero indicazioni sull’effettiva possibilità di utilizzare spazi messi a disposizione dai dipartimenti di prevenzione. Sarebbe stata accolta, invece, la richiesta che riguarda la strumentazione per la diagnostica che le Regioni distribuiranno ai medici di medicina generale, in seguito ad una spesa di 258 milioni di euro. La formazione e i costi per la manutenzione non dovrebbero essere più in carico ai professionisti ai quali vengono assegnate le attrezzature, come era stato indicato inizialmente. Questa seconda parte dell’accordo è stata prevista sia “per consentire una più efficace presa in carico degli assistiti, che per ridurre la pressione sui presidi ospedalieri e sulle strutture sanitarie e limitare di conseguenza le occasioni di esposizione al rischio di contagio”. Le nuove disposizioni, compreso il trattamento economico, ora entreranno nell’Accordo collettivo nazionale stralcio (il contratto di lavoro dei medici convenzionati).

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Fonte: ilfattoquotidiano.it