Negozi di abbigliamento e crisi: “Con la seconda ondata il colpo di grazia”. Caccia alle strategie alternative (e non c’è solo l’e-commerce)

Negozi chiusi, di nuovo. O negozi aperti, ma vuoti. Nelle Regioni incluse nella zona rossa, in base al nuovo dpcm, per 15 giorni restano chiusi i negozi di beni non indispensabili: esclusi alimentari e farmacie, giù le saracinesche del settore dell’abbigliamento, già provato dal lungo stop primaverile. E anche nel resto d’Italia i negozianti devono affrontare un lungo autunno senza shopping: tra smart working e coprifuoco, infatti, le clienti non hanno più nessuna spinta a investire in vestiti che resteranno appesi nell’armadio. “Siamo aperti senza battere nemmeno uno scontrino”, dice una negoziante di Empoli. Niente cerimonie, niente feste, niente cene al ristorante. Perfino niente ufficio. E anche chi può comprare viene frenato dalla paura per il futuro: “Ogni volta che il premier Conte appare in tv, il lavoro cala”, conferma il titolare di un negozio a Roma.

Al netto di un nuovo lockdown, Confindustria Moda stima già perdite per il settore pari al 29,7% del fatturato. Dopo aver rinunciato a feste, cerimonie ed eventi mondani, la moda ha dovuto cedere anche il fortino del sabato sera. Il settore è stato colpito di nuovo proprio quando il rientro a scuola o in ufficio spinge i più a rifarsi il guardaroba o a investire in qualche bel capo. Che ora appare del tutto inutile. Basta scorrere i siti web delle grandi catene low cost per capire su cosa stanno puntando: felpe, legging da yoga e tute da ginnastica. In una parola: l’easywear, cioè t-shirt e tute che di solito relegavamo nell’ultimo cassetto come ‘abiti da casa’, e che ora sono ‘gli abiti di tutti i giorni’, mettendo in pausa gli acquisti in negozio. Le grandi boutique del lusso tentano di aggirare l’incognita di un nuovo lockdown puntando sull’e-commerce o portando i vestiti a casa delle clienti, ma i piccoli negozi pagano il prezzo più alto della crisi.

Le boutique storiche della zona rossa: “Questo è il colpo di grazia” Penelope, a Brescia, è praticamente un’istituzione. Roberta Valentini, che lo ha creato oltre mezzo secolo fa, è una vera signora della moda: l’iconica chioma fiammeggiante, l’occhio per le nuove tendenze e la tempra di chi si è sempre rimboccata le maniche. Ma alla notizia che Brescia è di nuovo zona rossa, reagisce con sconforto: “Sono angosciata, davvero, pensavamo ormai di esserne fuori”, dice al telefono, in una mattina concitata in cui c’è da riorganizzare tutto: clienti, fornitori, commesse. Alla fine di ottobre ha aperto un archivio che raccoglie i suoi pezzi storici, di stilisti allora emergenti e che ora sono diventati di culto: i baschi di Azzedine Alaia, le giacche di Balmain, gli abiti di Comme des Garçon. Una storia gloriosa, che ora vive “un anno molto fiacco”. Perdite stimate? “Non lo voglio nemmeno dire”, sospira. Per non parlare del settore cerimonia, praticamente azzerato: il suo negozio dedicato alle spose è fermo da mesi. “Io sono un’ottimista – dice convinta – Brescia è una città di lavoratori e io ho sempre guardato al futuro. Ma un impasse del genere è un castigo divino: dopo la chiusura di marzo molti negozianti ne sono usciti malmessi, ma ne sono usciti. Questo è il colpo di grazia”.

Nella capitale italiana della moda non va meglioNegli stessi anni in cui a Brescia nasceva Penelope, a Milano le sorelle Biffi fondavano la loro boutique, che oggi, sessant’anni dopo, conta cinque negozi tra il capoluogo e lombardo e Bergamo. Tutti e cinque ora di nuovo chiusi. “Per noi comporta evidentemente un danno importante – dice Tiziano Cereda, amministratore delegato del gruppo Biffi Boutiques – Ma sapevamo che era un’eventualità: proprio per questo abbiamo lavorato fin da maggio per potenziare il canale e-commerce”. L’obiettivo è riaprire il prima possibile, salvando il prezioso periodo delle feste: “Ci stiamo organizzando anche con servizi ancora più efficaci di consegna a domicilio e di personal shopping, via telefono o in video-chat”. Questo dicembre sembrano un miraggio le cene di auguri, le feste aziendali e i grandi veglioni, ma ci scambieremo ancora i regali. “Gli acquisti saranno ragionevolmente più mirati – spiega Cereda – alla quantità si preferirà il valore”. Qualcosa di utile ma ancora in grado di far emozionare. Che è proprio l’aspetto, conclude, che l’e-commerce non è in grado di sostituire.

Le strategie alternative: “E-commerce e consulenza a domicilio” – La ricetta di Biffi – vendite online, consegna a domicilio e consulenza personalizzata alle clienti – è la stessa che stanno adottando molti negozi di lusso, come Sugar, storico indirizzo di Arezzo, nominato “miglior negozio del pianeta” dalla rivista Wear Global Magazine. “Anche se sono un forte sostenitore del negozio fisico, devo dire che l’e-commerce ci sta aiutando molto – spiega il fondatore, Beppe Angiolini – è un modo nuovo di comprare che coinvolge il mondo”. Un’indagine di Capterra conferma che il 61% dei consumatori italiani ha fatto shopping online almeno 3 volte al mese durante la quarantena, più della media europea (56%). Per lui, questi mesi incerti sono un “periodo di semina, sperando poi di avere il raccolto”. In Toscana, passata nel giro di una settimana da zona gialla a rossa, i punti vendita ora sono chiusi. Ma Angiolini conferma che anche prima erano molto meno affollati: “La gente è meno interessata ai vestiti, si fanno solo acquisti mirati e scelte meno emozionali. Si compra il quotidiano, l’indispensabile”. In questi mesi dice di essersi scoperto un po’ psicologo, un po’ confidente delle sue clienti, che devono essere accolte con un’attenzione maggiore. “Credo che in futuro, dopo tanto isolamento, la gente avrà più bisogno di calore e tornerà nei negozi”. Anche nel Lazio si lavora con la consapevolezza che le cose potrebbero cambiare velocemente: “Ci siamo adoperate per far vivere alle nostre clienti Natale in anticipo, allestendo vetrine capaci di far sognare” spiega Eleonora Bonucci, titolare dell’omonimo negozio a Viterbo. “Ora vogliamo puntare su personal shopper in negozio o che possono raggiungere le clienti direttamente a casa”. La forza del suo negozio, spiega, è una clientela altamente fidelizzata e ancora capace di spendere in prodotti di alta gamma: “La vita è cambiata, ma il nostro pubblico ha semplicemente spostato la propria scelta verso altre categorie di prodotti: sneakers, felpe, jeans e t-shirt”. E la fedeltà paga: “A settembre siamo riusciti a eguagliare, a parità di mesi, i fatturati del 2019”. Merito un e-commerce molto strutturato: “In questi mesi ci ha sostenuto in modo importante e ci ha permesso anche di reinvestire quelle risorse che altrimenti si sarebbero trovate costrette a casa per un certo periodo di tempo”.

Inaugurazioni digitali e strategie controcorrente – “In questo momento, se si vuole sopravvivere, bisogna distinguersi – dice Giacomo Vannuccini, buyer e project manager di Boutique Tricot, in provincia di Siena, che aveva appena inaugurato un nuovo negozio quando la Toscana è diventata zona rossa, costringendoli a chiudere. “Per me e la mia famiglia è stata una grande sfida, ma sentivamo che quello era il momento giusto. Le perdite ci sono e si mettono in conto, ma puntiamo tutto sull’e-commerce per ridurre il gap e al momento stiamo avendo riscontri positivi. Anche per il nostro nuovo store abbiamo fatto un’inaugurazione tutta digitale, con centinaia di persone collegate in diretta sui social: il business traballa, ma a livello personale c’è una grande risposta e ci si sente tutti più vicini”.

Nella zona gialla pesa “l’effetto psicologico di un possibile lockdown” – A Roma, almeno per adesso, i negozi sono aperti. Un nuovo lockdown era l’incubo di Stefano Lorizio, titolare di Millenium store. Un negozio come il suo, riconosce, ha diversi punti di forza. Il primo è uno spazio enorme, dove in base alla normativa vigente possono entrare trenta persone alla volta. Il secondo è la clientela di fascia alta, che pure non è stata risparmiata dalla crisi: “Per la maggior parte sono liberi professionisti – racconta – imprenditori, ristoratori, albergatori. Tutta gente che ora lavora meno. Vengono ancora, ma se prima spendevano duemila euro, ora ne spendono tre, quattrocento”. Lorizio spiega che dopo la riapertura a maggio c’è stato un boom: “Abbiamo visto un ‘effetto elastico’ e le vendite sono schizzate in alto”. Anche i dati diffusi dai siti di e-commerce testimoniano la voglia di tornare a fare acquisti in estate, dopo tanti mesi chiusi in casa. Secondo l’ultimo report di Lyst, specializzato nel monitoraggio dello shopping online, durante l’estate i clienti digitali hanno abbandonato tute e yoga pants per investire sui prodotti da sfoggiare ‘fuori’, dalla borsa di Telfar ai mocassini di Prada. L’inizio del declino, conferma Lorizio, è stato tra settembre e ottobre, quando i contagi sono aumentati e si è ricominciato a parlare di chiusure e di un possibile nuovo lockdown. “C’è un effetto psicologico molto forte, legato alla paura per quello che si vede in tv”. Rispetto al 2019, Lorizio stima un calo di fatturato “del 30-40% circa. Speriamo nel Natale, che per noi rappresenta il 40% delle vendite totali”

I negozi di quartiere: “Tireremo giù la saracinesca uno dopo l’altro” – Se le grandi boutique faticano, le piccole pensano alla più estrema delle ipotesi, la chiusura. Come Monica, la titolare di Isyglam, un negozio di quartiere a Roma: “Io non sono su una via dello shopping – spiega, piena di amarezza – da me ci vengono mamme con i figli”. Quando ha aperto, tre anni fa, l’idea era quella di proporre un’alternativa locale a Zara: stessa fascia di prezzo, ma solo con brand italiani. “Dopo il lockdown – racconta – c’era il deserto totale. Ho cominciato a vedere la ripresa in estate e visto l’andamento di settembre, ero fiduciosa: con la ripresa della scuola e del lavoro in presenza, le mie clienti tornavano a uno stile di vita più normale, e quindi anche agli acquisti”. Poi, con l’arrivo della seconda ondata, tutto è cambiato: “La gente ha paura, e di certo non ora non pensa allo shopping”. Il calo del fatturato, nel 2020, è stato impietoso: “Quasi l’80%”, dice Monica, che ora sta valutando se svuotare gli scaffali per sempre. “Preferirei essere chiusa con il giusto supporto economico, piuttosto che aperta con il negozio vuoto”. Le misure messe in campo dal governo, prosegue Monica, non sono sufficienti: “L’unica cosa che ci avrebbe permesso di restare a galla sarebbe stato un aiuto concreto con l’affitto e con i costi fissi. Le limitazioni alla vita sociale hanno spazzato via tutto il resto. Sopravvivranno i colossi come Zara, noi tireremo giù la saracinesca uno dopo l’altro”.

L’incognita delle località sciistiche Saracinesche abbassate anche nelle località sciistiche di Piemonte, Lombardia e in Val D’Aosta, dove finora e almeno fino al 3 dicembre (quando scade il Dpcm del 3 novembre) gli impianti sono chiusi. A Bolzano il negozio di lusso Franz Kraler ha battuto il record: aperto e richiuso in 24 ore. Già famoso per i punti vendita a Cortina D’Ampezzo e Dobbiaco, il nuovo punto vendita non ha fatto in tempo a celebrare l’inaugurazione che ha dovuto chiudere fino al 22 novembre. Daniela Kraler ha poi spiegato alla stampa che ha voluto comunque aprire, anche se per poche ore, per dare un messaggio di speranza. E non è la sola ad aver preso una decisione controcorrente: c’è chi da Empoli è arrivata a Cortina per aprire un secondo negozio, puntando su una clientela facoltosa che viene da tutt’Italia. Giulia Tamburini spiega che la sua famiglia ha un’azienda di abbigliamento, Castellani, e un punto vendita a Empoli: “Facciamo capispalla di fascia medio-alta: quella più colpita in assoluto, perché il lusso ha una sua nicchia e H&M più o meno ce lo possiamo permettere tutti. È il capo da duecento euro che non si vende più”. Il punto vendita di Empoli, dice “era aperto tutto il giorno senza battere uno scontrino”. Così ha preso una decisione: “Forse è una follia, ma per salvare il negozio a Empoli abbiamo deciso di aprirne un altro a Cortina, sperando nei clienti della stagione sciistica”. L’ultima carta da giocare: “Abbiamo dovuto anticipare le casse integrazioni di tasca nostra: se continua così, a dicembre dovremo iniziare a licenziare”.

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Fonte: ilfattoquotidiano.it