Uno slittamento di dieci giorni, dopo l’annuncio di una firma imminente. L’ultimo colpo di scena nella vicenda dell’ex Ilva arriva nel giorno che avrebbe dovuto segnare la stretta di mano tra Invitalia e ArcelorMittal con la ratifica dell’accordo per l’ingresso del partner pubblico al 50%. Tuttavia, al governo nel pomeriggio dovrebbe arrivare dalla multinazionale dell’acciaio una lettera di intenti nella quale si dice intenzionata a restare nel nostro Paese, visto che oggi era la data limite per la sigla dell’accordo e, in teoria, dal 1° dicembre gli affittuari dell’Ilva potrebbero abbandonare gli impianti pagando 500 milioni di euro. Nei prossimi giorni, quindi, è prevista la definizione dei dettagli per l’ingresso di Invitalia, per poi prendere la maggioranza (60%, come annunciato da Arcuri) nel giugno 2022.
Anche se le prime anticipazioni fanno intravedere una transizione complicata sotto il profilo occupazionale, con 3mila lavoratori in cassa integrazione almeno per tutto il prossimo anno. Numeri drammatici, a maggior ragione se si pensa che lo Stato sarà coinvolto a pieno titolo nella gestione. Ma Domenico Arcuri, ad di Invitalia, ha garantito un riassorbimento a scaglioni nel giro di 4 anni: “Il personale al lavoro prevederà una cigo di 3.000 persone al massimo nel 2021, 2.500 nel 2022, 1.200 nel 2025 e zero dal 2025″. Dal punto di vista produttivo invece il piano preved l’aumento “progressivo” dalle 3-4 milioni di tonnellate di oggi a 5 nel 2021 per salire fino ad 8 dal 2025. Dal punto di vista ambientale, invece, è prevista una riduzione dell’inquinamento del 93% a regime per l’ossido di zolfo, del 90% per la diossina; del 78% sia per le polveri sottili e che per la C02.
Sulla trattativa, insomma, non c’è pace. Anche nel rapporto con i sindacati. A dieci minuti dall’inizio dell’incontro con Fim, Fiom, Uilm e Ugl metalmeccanici è arrivato il contrordine del ministero dello Sviluppo Economico: l’incontro è in conference call, a differenza di quanto inizialmente previsto, perché ci sarebbero dei problemi di sicurezza legati al Covid, dicono ufficialmente dal dicastero guidato da Stefano Patuanelli. “Se loro pensano che noi accompagniamo un processo di questo tipo, tagliati fuori da tutto e in cui non si capisce dove stanno andando è molto grave”, avvisa Francesca Re David, segretario generale Fiom.
“Siamo stati convocati oggi che sarebbe dovuto essere il giorno dell’incontro conclusivo ma non sappiamo a questo punto quali siano le intenzioni: capiamo che ci sono problemi, non sappiamo se dentro il governo o tra il governo e ArcelorMittal o tra tutte e due le cose”, commenta duramente la leader dei metalmeccanici Cgil. “Trovo molto grave che appena pochi minuti prima del nostro incontro sia ancora tutto per aria e non si capisca cosa stia succedendo, grave per quel che riguarda il rispetto verso noi ed i lavoratori”, commenta ancora ricordando come stamattina intanto a Genova, nel sito ex Ilva, sia caduta una torre faro alta 18 metri.
“E questo dà il senso dello stato degli stabilimenti: della mancanza di una direzione , di manutenzione straordinaria e ordinaria”, conclude. Preoccupata anche la Fim: “Abbiamo letto che ci sarebbero dei ritardi su l’intesa Invitalia e Mittal: speriamo siano solo tecnici e che non compromettano l’azione di rilancio. Serve invece mantenere i siti e rilanciarli oltre che risolvere i tanti problemi che oggi ci sono: siamo in situazione peggiore, produce al minimo storico e dobbiamo fare ancora molta strada”, commenta il segretario Fim Roberto Benaglia. Furibondo il leader Uilm, Rocco Palombella, sia per la comunicazione in “zona cesarini” del governo sia per lo slittamento della firma per l’ingresso dello Stato: “Esprimiamo tutta la nostra rabbia per un governo che non ha rispetto nei confronti dei lavoratori, che non è in grado neanche di poter fare un incontro fisico dopo che loro stessi ci avevano convocato sabato scorso – attacca – Questa è la dimostrazione del loro pressapochismo, della loro improvvisazione”.
Palombella è un fiume in piena, anche in vista di una ripartenza in mani statali che si preannuncia comunque difficile sotto il profilo occupazionale. “Noi non volevamo parlare di questioni finanziarie o di governance – aggiunge Palombella – La presenza dello Stato e di Invitalia ci auguriamo che possa costituire un elemento di garanzia, anche se purtroppo la gestione dei commissari dal 2012 al 2018 ha lasciato un degrado evidente e a cui si sta cercando di porre fine”, ricorda Palombella sottolineando che i sindacati aspettano il momento in cui “potranno esprimere un giudizio sul nuovo piano industriale, gli investimenti e la salvaguardia occupazionale”.
Quindi l’attacco: “Non sappiamo come verrà guidata la transizione, quale sarà il cronoprogramma e come verranno gestiti i lavoratori. Parliamo di tutti i lavoratori, anche quelli in Ilva amministrazione straordinaria che secondo l’accordo del 2018 dovevano essere riassorbiti man mano che si verificava la risalita produttiva – ricorda – Secondo quanto detto oggi da Arcuri noi ci troveremo da quest’anno fino al 2021 con 3mila persone in cassa integrazione che si aggiungono ai 1.700 di Ilva As”. E la ‘promessa’ di dare battaglia: “Non firmeremo mai un accordo che preveda migliaia di esuberi. Presumibilmente dalla prossima settimana inizieremo una trattativa, ci auguriamo libera da condizionamenti, per arrivare a un’intesa che dia un futuro occupazionale a tutti i lavoratori di ArcelorMittal, di Ilva As e appalto, e che avvii il piano di risanamento ambientale tanto atteso”.
L’articolo Ex Ilva, slitta la firma ArcelorMittal-Invitalia per l’ingresso dello Stato. Arcuri: “3mila in cassa integrazione nel 2021, zero nel 2025” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Fonte: ilfattoquotidiano.it