Censis: “80% degli italiani a favore della stretta per Natale. L’emergenza amplia le disuguaglianze: più colpiti i vulnerabili mentre i miliardari si sono arricchiti”

Lavoratori autonomi, precari, donne, giovani, studenti: sono loro, da sempre fragili, ad aver pagato il prezzo più alto di una crisi che pure ha colpito tutti. E non sarà certo la “bonus economy”, la politica dei sussidi messa in atto dal governo a risolvere la loro condizione. Anzi, la pioggia generalizzata di bonus rischia di portare a una vera regressione. È questa, in estrema sintesi, la tesi dell’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del paese, il 54esimo, presentato oggi in diretta streaming da Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, e Giorgio De Rita, segretario generale. In sostanza l’epidemia, scrive l’istituto di ricerca, ha “squarciato il velo sulle nostre vulnerabilità strutturali”, allargando la frattura tra garantiti e non garantiti. Gli italiani comunque si dicono pronti ad affidare al governo le decisioni su cosa si può fare oppure no, rinunciando a qualche diritto per la sicurezza. Quasi l’80% si dice a favore della stretta in vista delle prossime festività e “chiede di non allentare le restrizioni o di inasprirle”.

I miliardari si sono arricchiti, la crisi ha colpito i deboli – L’Italia resta un paese profondamente diseguale. Partiamo dai dati sui patrimoni: 1.496.000 individui, il 3% degli adulti, possiede il 34% della ricchezza del nostro paese. Quaranta sono miliardari e sono aumentati sia per numero che per patrimonio durante la prima ondata della pandemia. Questo mentre i più deboli pagavano il conto più salato: il 90,2% degli italiani è convinto che l’emergenza e il lockdown abbiano danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili e ampliato le disuguaglianze sociali. Per l’85% degli intervistati la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza di un posto di lavoro – su tutti i 3,2 milioni di dipendenti pubblici e i 16 milioni di percettori di pensione – e gli altri, quelli che abitano un terreno che il Censis definisce analogo alle “sabbie mobili”.

Trema il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, “per i quali la discesa agli inferi della disoccupazione non è un evento remoto”, tremano ancor di più i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva. Esiste poi un universo dei cosiddetti “scomparsi”, tutti quelli che lavoravano nei servizi oppure in nero, ben 5 milioni di persone “inabissatesi senza far rumore”. E poi, ancora: imprenditori dei settori in crisi, commercianti, artigiani, professionisti rimasti senza incassi. Nel mondo del lavoro autonomo, solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19.

Due milioni di donne non cercano più lavoro – La crisi occupazionale è più dura per giovani e donne: sono 457.000 i posti di lavoro occupati da giovani e donne e persi per la crisi, mentre sono 654.000 i lavoratori indipendenti o a termine senza impiego. Ad essere colpiti sono soprattutto il settore degli alberghi e della ristorazione, l’industria in senso stretto, le attività immobiliari, professionali e i servizi alle imprese, il commercio, dove però la perdita di lavoro riguarda soprattutto gli adulti. Il lavoro femminile resta un fronte drammatico. Nel secondo trimestre di quest’anno, il tasso di occupazione totale presenta un divario di oltre 18 punti sfavorevole alle donne. Solo 32 su 100 tra i 15 e i 34 sono occupate, mentre lavora una su due delle donne tra i 25 e i 49 anni con figli in età scolare. Ma il dato più preoccupante riguarda il numero delle scoraggiate: oltre due milioni di donne (il 93% di quelle che potrebbero lavorare) hanno dichiarato di essere disponibili a lavorare, ma non cercano un posto. L’aspettativa negativa rispetto alla possibilità di trovare un’occupazione condiziona il comportamento di 862.000 donne, 4,8% in più dell’anno scorso. Secondo il Censis si rileva in generale una “certa disaffezione nei confronti del lavoro e della sfera lavorativa”, che perde sempre più centralità nella vita delle persone.

14 milioni di italiani hanno preso i bonus – Le misure di sostegno messe in campo per sostenere i più colpiti hanno coinvolto oltre 14 milioni di beneficiari, per una spesa di 26 miliardi, “come se a un quarto della popolazione fossero stati trasferiti 2.000 euro”. Circa 4 milioni di lavoratori indipendenti hanno avuto accesso all’indennità di 600 euro, oltre a 2,5 milioni di liberi professionisti o iscritti alla gestione separata Inps (38 iscritti alle casse su 100 e il 42% dei collaboratori Inps), a testimonianza della crisi anche di questi lavoratori. Anche 1,4 milioni di commercianti, 1,2 milioni di artigiani e circa 300.000 coltivatori diretti hanno avuto una compensazione della perdita di reddito. Ma gli italiani come valutano gli aiuti? Positivamente i giovani, molto meno gli anziani, secondo cui i bonus – che tra l’altro non tutti gli aventi diritto hanno incassato, come il bonus baby sitter e quello vacanze – generano dipendenza e debito pubblico. Solo il 17,6% degli imprenditori ritiene comunque le misure di sostegno sufficienti, in generale il 75,4% degli italiani è scettico. Il rapporto mette poi in luce un paradosso. Mentre il pil è sceso del 18% nel secondo trimestre, i consumi delle famiglie del 19,2%, gli investimenti del 22,%, l’export del 31% (anche se il rimbalzo del terzo trimestre ha attutito il colpo), rispetto a dicembre del 2019 la liquidità delle famiglie è aumentata di 41,6 miliardi (+3,9% in sei mesi). In pratica, il 66% degli italiani si tiene pronto a nuove emergenze adottando comportamenti cautelativi, ovvero mettere da parte soldi.

Studenti stranieri e disabili, le vittime silenziose – Ci sono poi altre vittime della crisi che fanno meno rumore. Sono gli oltre 800.000 studenti non italiani, che hanno trovato grandi difficoltà a raggiungere livelli minimi di apprendimento e che, a causa della interruzione della didattica in presenza, sono i più a rischio dispersione. Anche i 268.671 studenti con disabilità o con disturbi specifici dell’apprendimento (276.000 circa) hanno sofferto a causa della didattica a distanza. D’altronde, solo l’11,2% dei dirigenti scolastici intervistati ha dichiarato di aver raggiunto tutti gli studenti, con conseguente, grande, preoccupazione. Sia gli studenti che i dirigenti temono soprattutto che non si mantenga il necessario livello di socializzazione, fondamentale per la felicità e il benessere dei ragazzi.

In questo quadro fosco, ci sono alcuni aspetti positivi. Ad esempio, l’87% dei cittadini ha dichiarato di avere utilizzato nell’emergenza una connessione internet fissa, ritenuta sufficiente (solo il 10% ha lamentato mancanza di banda, tanto che gli “upgrade” a connessioni più performanti sono stati limitati). Insomma, “la rete delle reti”, nota il Censis, ha retto un aumento di traffico senza precedenti. Più del 70% dei cittadini ha dichiarato di possedere le competenze di base necessarie, anche se la generazione anziana è quella che resta più esclusa, e ben 43 milioni di persone maggiorenni sono rimaste in contatto con amicizie e parenti grazie a internet. Altro aspetto positivo, nella situazione drammatica, si rileva invece, dopo anni di tagli alla spesa pubblica, sul fronte del riordino della rete ospedaliera e dell’assistenza territoriale, a cui il governo ha destinato rispettivamente 1,5 miliardi e 1,2 miliardi, con i posti per le terapie intensive che passano dagli 8,7 per 100.000 abitanti a 15,3.

Un paese diseguale e impoverito – A fine 2019, 4.593.400 persone, il 7,7% della popolazione (per il 30% stranieri), era in povertà assoluta, anche se il bilancio risultava positivo rispetto all’anno precedente anche grazie al reddito di cittadinanza. La crisi ha fatto aumentare del 22,8% le persone che percepiscono il sussidio, soprattutto stranieri, i quali restano però penalizzati dal duro requisito dei dieci anni di cittadinanza italiana. Ma il nostro è sempre un paese senza mobilità sociale, visto che il 50,3% dei giovani vive in una condizione socio-economica peggiore dei genitori, mentre al tempo stesso la pandemia ha tagliato le gambe anche alla voglia di imprenditorialità: oggi solo il 13% considera un’opportunità avviare un negozio o uno studio professionale.

La rinuncia ai diritti per la sicurezza – Gli italiani si dichiarano sfiduciati sia verso le istituzioni comunitarie (nutre fiducia solo il 28%) sia verso il governo e il parlamento nazionali (solo il 29% e il 26%). Governo al quale, tuttavia, gli italiani sono pronti ad affidare le decisioni su cosa si può fare oppure no, rinunciando ai propri diritti civili per maggiore sicurezza. Il 77,1% vuole pene severe per chi non indossa mascherine o non rispetta il distanziamento, il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non stanno in quarantena. Infine, a sorpresa, quasi la metà degli italiani, 43,7%, sarebbe favorevole alla reintroduzione della pena di morte. Più inaspriti e più scettici, insomma, sono gli italiani dopo la crisi. Crisi che, infatti, solo uno su cinque reputa un’esperienza che ci renderà migliori.

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Fonte: ilfattoquotidiano.it