Tra le categorie di lavoratori più colpite dagli effetti economici della pandemia di Covid19 ci sono indubbiamente i lavoratori a termine e stagionali.
Lo mette in evidenza Il Sole 24 Ore in edicola oggi, in un’articolo in cui si ricorda l’urgenza di una ulteriore proroga dello stop al Decreto Dignità (per il momento in scadenza al 31 marzo) per arginare almeno in parte gli effetti della pandemia sull’occupazione.
Nel primo anno della pandemia, vale a dire nel 2020, sono stati ”attivati 1,4 milioni di contratti a tempo determinato in meno rispetto all’anno precedente. E in un caso su tre si è trattato di contratti di durata inferiore a 30 giorni”, scrive il quotidiano economico.
Dopo il calo massiccio di aprile dovuto mancato rinnovo dei contratti a termine durante il primo lockdown (-432mila attivazioni in meno), si è registrata una leggera ripresa nei mesi di luglio e agosto grazie alla stagione estiva – che comunque si è presentata più breve rispetto alla normalità – “i nuovi contratti hanno ricominciato a diminuire ogni mese, fino a dicembre, che ha fatto registrare oltre 195mila attivazioni in meno su base annua“.
Il settore più colpito è quello del turismo, con cali impressionanti che accendono evidentemente la luce sulla situazione delle imprese e dei lavoratori, i primi alla ricerca di adeguate forme di ristoro, i secondi alla ricerca di qualche forma di tutela che sostenga il loro reddito considerato che in molti casi non hanno neppure maturato i requisiti per la NASpI, istituto più “severo” rispetto alla vecchia indennità di disoccupazione con requisiti ridotti ormai superata da anni.
Questo scrive “Il Sole” riguardo ai numeri di questa strage sociale:
“In questa dinamica si riflettono gli effetti della pandemia sulle attività alberghiere, turistiche, commerciali, che si avvalgono su larga scala di rapporti di lavoro flessibili, e concentrati in alcuni periodi dell’anno. Passando dai contratti alle “teste”, i rapporti a termine attivati nel 2020 hanno riguardato 3,4 milioni di lavoratori. Di questi, 713mila (il 20,5%) risultavano ancora attivi con gli stessi rapporti al 2 marzo 2021. Una quota minoritaria, che si spiega con la durata spesso molto breve dei contratti a termine: uno su tre dura meno di 30 giorni”.
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