I decreti Covid chiudono le attività di vendita di beni e servizi non essenziali, ma la loro compravendita non si ferma. Lo scrive il quotidiano Libero sulla base dei dati elaborati della Cgia di Mestre (associazione degli artigiani):
“Per mettere insieme il pranzo con la cena c’è chi – in attesa dei fantomatici ristori che non sono ancora arrivati – si è industriato come poteva. Ed ecco che sono spuntate finte parrucchiere ed estetiste. Era già successo nella fase più dura del lockdown 2020. A marzo ed aprile scorso era stato tutto un sommesso fiorire di attività svolte (ovviamente in nero) a domicilio. Tramite i cellulari, il passaparola e il circuito tradizionale dei rapporti abitudinari, era sorto un florido mercato parallelo (ovviamente in nero). Impossibile stimare con una certa attendibilità il numero preciso di chi si è dedicato a lavori e lavoretti in nero. Però qualche anno fa l’Istat, aveva ipotizzato (per difetto) che i lavoratori in nero fossero circa 3,2 milioni. E tutto questo ben prima del Covid. «Nei prossimi mesi», scandiscono dall’associazione degli artigiani, «la situazione è destinata a peggiorare. Con lo sblocco dei licenziamenti previsti dapprima a fine giugno, per coloro che lavorano nelle Pmi e nelle grandi imprese, e successivamente in autunno, per quelli che sono occupati nelle micro e piccolissime aziende, c’è il pericolo che il numero dei senza lavoro aumenti in misura importante».
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