Nell’anno della pandemia l’agricoltura non ha mai chiuso, eppure ha risentito fortemente della crisi, soprattuto quella legata ai canali commerciali, a determinate aree geografiche ed ai flussi turistici direttamente colpiti dai provvedimenti restrittivi antic-Covid. A metterlo in luce è l’Istat di una recente ricerca.
Tra i settori ad aver risentito maggiormente delle conseguenze delle restrizioni generalizzate c’è il comparto del florovivaismo, soprattutto nella prima fase e poi nelle fase più acute della pandemia. Così come le attività dell’agriturismo, a causa della prolungata chiusura dei strutture ricettive e del forte calo delle presenze, nonchè i divieti di spostamento tra territori.
Diversa è invece la situazione delle produzioni strettamente agricole connesse alla domanda interna delle famiglie, dove la percezione è di un sostanziale equilibrio.
Sul fronte occupazionale a registrare un danno importante è il settore agricoltura, silvicoltura e pesca, con una diminuzione rispetto al 2019 del 2,3%: la componente del lavoro dipendente è scesa del 3,3% e quella indipendente dell’1,8%. Ancora più decisa la flessione dell’occupazione nell’industria alimentare che segnala una riduzione del 6,7%).
Più in generale è stata la componente ‘lavoro’ a pagare la crisi. E la dimostrazione arriva dal fatto nel 2020 i redditi da lavoro dipendente in agricoltura silvicoltura e pesca sono diminuiti del 2,3%; in particolare le retribuzioni lorde sono scese del 2,7%.
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