Il rapporto asimmetrico che persiste tra il livello di dibattito politico in Italia in materia di idrogeno verde e conseguente riconversione produttiva degli attuali cicli industriali pesanti e gli effetti indiscutibili, quanto positivi, di scelte già operate in nazioni europee nostre concorrenti, richiederebbe il riavvio immediato di un dialogo sociale forte, articolato tra Governo, sindacati e imprenditori, quale modalità virtuosa ed imprescindibile per condividere sull’argomento una visione di futuro, confermare il nostro Paese tra i più industrializzati e realmente concorrenziali sul mercato mondiale dell’acciaio.
D’altro canto, strategie industriali di tal genere troverebbero effettiva corrispondenza della nostra classe imprenditoriale, pronta già a scommettere su progettualità credibili e di lungo periodo, oltreché determinare ricadute positive in termini di occupazione e di effettivo rilancio di una politica industriale nazionale fino a questo momento rivelatasi oltremodo afasica, se non addirittura assente.
Pensiamo non sia casuale che Marcegaglia ed Exor abbiano partecipato al round di finanziamento Series A da 105 milioni di dollari a sostegno di H2 Greensteel, start up svedese che punta a mettere in funzione, nel 2024, un’acciaieria interamente alimentata ad idrogeno verde, per giungere a produrre entro il 2030 fino a 5milioni di tonnellate/anno di acciaio, quasi le stesse dimensioni della produzione dell’ex Ilva una volta fossero riavviati gli impianti a regime.
I due Gruppi italiani sono elementi di un parterre de roi che vede coinvolti anche big dell’automotive come Mercedes-Benz e Scania, la Ikea foundation, Vargas holding e, ancora, capitali famigliari come quelli dei Wallenberg e dei Maersk.
A Taranto, in una fase boom dell’acciaio in cui cresce la domanda e la produzione, tra attese tattiche del Governo, sentenze del Consiglio di Stato e della Corte Europea, il barometro rischia di volgere, purtroppo, al peggio.
E se, di converso, da altre parti come dimostrato, sull’idrogeno per l’acciaio si decide su cosa e su come fare, qui la gestione dello stabilimento rimane orientata da modalità e criteri obsoleti e superati dalla storia di un sistema avanzato di relazioni che, viceversa, dovrebbe tendere alla sostenibilità ambientale interna ed esterna, alla sicurezza dei dipendenti, al rifacimento di impianti, alla salvaguardia dei posti di lavoro diretti e indiretti ed a preservare l’autonomia industriale del nostro Paese oltreché implementarne il PIL.
E’ un fatto che anche le recenti scelte della Commissione europea, finalizzate alla decarbonizzazione dei cicli produttivi, costringeranno nel futuro molti cicli integrali a ricercare soluzioni produttive meno impattanti, perciò l’obiettivo di produrre acciaio verde è entrato da tempo nell’agenda di molti player europei e mondiali del settore siderurgico, tra questi ArcelorMittal.
Ebbene, stando alle previsioni gli impianti siderurgici di H2 Greensteel entreranno in funzione già nel 2024, anticipando gli obiettivi di compatibilità ecologica fissati dalla UE per il 2050 e produrranno inizialmente 2,5 milioni di tonnellate/anno di acciaio verde, per arrivare a 5 milioni, come detto, già nel 2030.
Mentre nello stabilimento di Taranto, come già detto, si è in una fase di stallo, con la produzione ai minimi storici, proprio in un momento in cui, dopo i limiti imposti dall’emergenza pandemica, vi è una ripresa produttiva di tutto il settore manifatturiero, con un aumento sostanziale della richiesta di acciaio in tante realtà produttive: dall’automotive, ai treni, all’edilizia, alla cantieristica, ecc.
Tale situazione non sta giovando né dal punto di vista produttivo, né da quello occupazionale.
Pertanto, è oltremodo opportuna l’insistenza della nostra FIM CISL a ripartire, senza perdere ulteriore tempo, con la produzione del semilavorato, rivolto ai produttori di acciaio italiani, in particolar modo al nuovo gruppo Acciaierie d’Italia (ex llva e ArcelorMittal) ancora attendisti rispetto alla ripartenza degli impianti.
E ripartire significa avviare, contemporaneamente, quel processo di transizione che passando dalla via elettrica (Forni elettrici) abbia come meta una produzione di acciaio che attraverso le nuove tecnologie collegate all’idrogeno approdi quanto prima ad una produzione green, così come si sta già realizzando in altre realtà nazionali e come dimostrato dall’esperienza Marcegaglia-Exor.
L’indubbia maturazione di una coscienza ambientale, nel corso degli ultimi 30 anni, può avvalersi oggi, grazie anche alla spinta di Organismi internazionali, dell’opportunità irripetibile, paradossalmente determinata dalla crisi pandemica, di poter riscrivere le regole di una competizione industriale che, finalmente, presenti i crismi della sostenibilità e su tale versante l’intenso magistero di Papa Francesco orienta virtuosamente quanti vogliano perseguire tali obiettivi.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza #NexGeneretionItalia prefigura, tra gli interventi in tema di energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile, l’aumento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e lo sviluppo di una filiera industriale specifica, inclusa quella dell’idrogeno, con un contributo rilevante che dovrebbe pervenire dai parchi eolici e fotovoltaici offshore.
La Regione Puglia ed il territorio ionico offrono condizioni uniche per realizzare, nel tempo, una produzione fossil free, grazie all’accesso ad abbondanti fonti di energia rinnovabile e soprattutto considerando che la stessa Regione si è candidata a ospitare il “Centro di Alta Tecnologia dell’idrogeno” come previsto dal PNRR.
Al contempo, la nostra realtà territoriale gode di una infrastruttura che pure su tale versante potrebbe rappresentare assai più di quanto espresso fino ad oggi, ovvero il Porto di Taranto con le oggettive potenzialità della sua logistica e della sua retro portualità.
Qui c’è, dunque, un’altra sfida da accettare e da vincere, per dare risposte al bisogno di lavoro e di buona occupazione, contribuire decisamente come sistema-Taranto alla performance produttiva dell’intero sistema industriale nazionale e riavviare il ciclo virtuoso e sostenibile delle esportazioni dei semi-lavorati, in Europa e nel resto del mondo.
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Fonte: cisl.it