Industria alimentare. Oggi a Bologna il convegno con lavoratori e imprese sul futuro del settore. Rota (Fai Cisl): “Formazione e partecipazione fattori chiave”

Con l’11,5% del valore aggiunto nel manifatturiero, il comparto dell’industria alimentare si è affermato al terzo posto dopo metalmeccanica e macchinari nel 2019, e nel 2020, nonostante le criticità indotte dalla pandemia, ha mostrato caratteristiche di resilienza e ha sostenuto l’economia italiana. La sfida della ripresa si concentra soprattutto nella crescita dell’export e nella diversificazione dei mercati. Sono questi alcuni degli aspetti principali emersi durante l’evento dal titolo “Industria alimentare italiana, un futuro da protagonista”, organizzato dalla Fai Cisl a Bologna, nel centro congressi di FICO Eataly World, con la partecipazione di delegati e alcune grandi imprese del food and beverage. “Ma non basta la buona reputazione del cibo Made in Italy, ad esempio Germania e Francia esportano molto più di noi – ha affermato nella sua relazione Denis Pantini, responsabile agricoltura e industria alimentare di Nomisma – e questo avviene soprattutto perché abbiamo tante imprese di piccole dimensioni che non riescono ad esportare e poche grandi realtà che riescono a farlo”. Tema affrontato anche dall’imprenditore Oscar Farinetti, che in qualità di fondatore di Eataly e FICO ha portato i saluti di benvenuto all’iniziativa: “Noi italiani siamo molto bravi a lavorare da soli, abbiamo 5 milioni di imprese, ma poi perdiamo insieme nel confronto con gli altri Paesi: il futuro si crea mettendo in connessione le persone, e noi dobbiamo imparare a farlo meglio. Possiamo arrivare anche a 80 miliardi di export, se riusciamo a comunicare il valore del prodotto italiano, che è essenzialmente ‘clean’, cioè pulito”.
Hanno portato i propri saluti anche Filippo Pieri, Segretario Generale Cisl Emilia-Romagna, e Daniele Saporetti, Segretario Generale Fai Cisl Emilia-Romagna, che hanno sottolineato il valore dell’agroalimentare regionale, che con 44 prodotti Dop e Igp può vantare il numero più alto a livello europeo di certificazioni di qualità: “Esportiamo prodotti, ma anche l’identità del territorio”, ha sottolineato Saporetti.
In un videomessaggio, Wiebke Warneck, Segretaria politica del settore cibo, bevande e tabacco dell’Effat, la federazione agroalimentare europea, ha evidenziato i tanti cambiamenti indotti dalla pandemia sul lavoro, con l’impennata dello smartworking e di nuove forme di flessibilità organizzativa. E proprio con riferimento alla pandemia, la Fai Cisl in apertura dell’evento ha reso omaggio alle lavoratrici e ai lavoratori dell’industria alimentare con un video che, raccogliendo oltre 60 contributi, racconta paure, speranze ed esperienze di lavoro emerse durante l’ultimo anno e mezzo, evidenziando il loro ruolo fondamentale, anche in pieno lockdown, per la fornitura di cibo a tutto il Paese.
Esperienze che sono state raccontante anche dal punto di vista delle imprese, con una tavola rotonda dal titolo “Dopo il Covid19 verso una ripresa sicura e sostenibile”, con la partecipazione di Marco Bernasconi, Risorse Umane Spumador Refresco, Novella Burini, Responsabile Risorse Umane Granarolo SpA, Matteo Butturi, Responsabile Risorse Umane Coca Cola HBC Italia, Stefania Rota, Presidente Salumificio San Vincenzo, Luca Scapolo, Direttore Risorse Umane Colussi Group.
Ha concluso la mattinata l’intervento del Segretario Generale della Fai Cisl, Onofrio Rota. “L’industria alimentare – ha detto il sindacalista – si sta affermando come laboratorio in cui sostenere una visione di bene comune e di innovazione sociale e contrattuale. Al centro di questa visione ci sono due fattori chiave: formazione e partecipazione. La prima, ci aiuta ad affrontare le trasformazioni tecnologiche senza subirle, immettere nel mercato del lavoro nuove energie e competenze, percorsi di riqualificazione, rapporti più dialoganti tra il mondo della scuola e quello del lavoro, mentre la seconda ci aiuta a governare il cambiamento in modo inclusivo, esattamente come stiamo facendo grazie a tanti progetti di solidarietà dentro e fuori le fabbriche, oppure sperimentando nuove forme di partecipazione e democrazia economica”.
“La produttività – ha aggiunto Rota – nel settore alimentare italiano è cresciuta del 14,2% tra il 2014 e il 2019, e ad oggi il comparto genera 25,3 miliardi di euro di valore aggiunto, una cifra superiore alla somma del valore aggiunto dei settori veicoli, nautica e aereonautica. Credo siano dati molto rilevanti. Sono la carta d’identità dell’alimentare Made in Italy, capace di creare ricchezza, inclusione, opportunità. Dobbiamo chiederci quanto abbiano contato, su queste performance, l’impegno dei lavoratori e la costante attenzione verso relazioni industriali avanzate e coraggiose. Io credo siano stati fondamentali. Lavoratrici e lavoratori non si sono mai tirati indietro, hanno dato prova di sapersi rimboccare le maniche nonostante difficoltà di ogni tipo, sono stati un esempio virtuoso, la parte migliore di quell’Italia che vuole ripartire davvero. Stessa cosa per le relazioni industriali: nonostante, ad esempio, le non poche difficoltà emerse nella lunga negoziazione per il rinnovo del contratto nazionale, alla fine ha vinto il buon senso, la voglia di riscatto, la volontà di dare a tutto il comparto un contratto con una visione di futuro, sostenibilità e prosperità. Adesso è fondamentale che Confindustria e Federalimentare ricompongano le lacerazioni emerse nelle ultime negoziazioni in seno alla rappresentanza delle parti datoriali”.
“L’accordo sulla formazione, contenuto nel nuovo contratto nazionale – ha annunciato il leader della Fai Cisl – ha cominciato ad avere gambe grazie alla collaborazione avviata con il sistema degli Istituti Tecnici Superiori e con l’Università dell’Insubria. Quella della formazione come diritto per tutti i lavoratori è una scommessa sulla quale non abbiamo mai avuto alcun dubbio: è lo strumento più importante che abbiamo per innalzare le competenze, la produttività, la dignità dei lavoratori, e per superare classificazioni professionali che nel giro di quattro cinque anni potrebbero non avere più senso”.

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Fonte: cisl.it