E’ circolata ieri la notizia che Confindustria ha chiesto al Governo guidato da Mario Draghi un provvedimento legislativo per estendere il Green pass nei luoghi di lavoro, per mettere in sicurezza dal Covid tutti i dipendenti, in assenza del quale poter prendere dei provvedimenti specifici come: lo spostamento ad altro ufficio, reparto, mansione, fino ad arrivare alla sospensione del lavoratore (si pensi ai casi in cui non c’è alternativa alla sua mansione) che in quel caso sarebbe senza retribuzione.
La richiesta degli industriali al Governo, resa nota con un’email scritta dalla direttrice generale di Confindustria Francesca Mariotti ai direttori dell’organizzazione di Viale dell’Astronomia, è stata bocciata subito dai sindacati che non ne vogliono sentir parlare di violare la libertà individuale dei lavoratori e di stabilire forme di controllo in azienda discriminatorie verso taluni lavoratori.
Ecco quanto scrive in proposito il quotidiano il manifesto in edicola oggi:
“I sindacati sono insorti. «Spero che sia il caldo – ha detto Maurizio Landini, segretario della Cgil – In questo anno di pandemia i lavoratori sono sempre andati in fabbrica in sicurezza. Rispettando i protocolli e le norme di distanziamento. Non sono le aziende che devono stabilire chi entra e chi esce. Una scelta di questo tipo la può compiere solo il governo. Confindustria, piuttosto, si preoccupi di far rispettare gli accordi contro i licenziamenti»”.
“«Il ruolo delle parti sociali – si legge ancora sul quotidiano diretto da Norma Rangeri – è quello di favorire in maniera responsabile la vaccinazione in tutti i luoghi di lavoro e nelle aziende che si sono rese disponibili a costituire hub vaccinali aggiuntivi a quelli della sanità pubblica, come avevamo sottoscritto il 6 aprile scorso insieme alla Confindustria ed alle altre associazioni imprenditoriali per tutelare la salute collettiva e quella dei lavoratori» ha sostenuto ieri la Cisl. Il motivo della reazione veemente da parte dei sindacati si spiega così: il green pass non rientra nel perimetro del protocollo e in ogni caso è una modalità discriminatoria di controllo che non può essere imposta con una circolare alle aziende”.
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