400mila braccianti vittima del Caporalato: salari dimezzati e giornate non registrate all’Inps

Schiavi moderni”, così l’Eco di Bergamo definisce la situazione del braccianti in un articolo denuncia sulla grave situazione del caporalato in Italia.

Fenomeno antico, mai sradicato, quello dell’interposizione illecita di manodopera nell’agricoltura che ancora oggi registra numeri altissimi.

“Secondo le stime dell’Associazione italiana delle agenzie per il lavoro – si legge – , sono 400 mila le persone coinvolte nel caporalato in Italia. L’80% stranieri e ricevono un salario giornaliero che ammonta a circa la metà di quello stabilito dai contratti nazionali“.

Quanto alla localizzazione geografica i dati recenti sfatano il mito che vuole il nord non coinvolto da questo genere di reati. “Il fenomeno è più diffuso nel Mezzogiorno, ma è in aumento appunto anche nel Nord e nel Centro. I distretti agricoli in cui si pratica il caporalato sono 80. Di questi, in 33 sono state riscontrate condizioni di lavoro indecenti e in 22 di grave sfruttamento. Almeno in 100 mila soffrono un disagio abitativo. Il 72% ha malattie che prima dell’inizio della stagione lavorativa non si erano manifestate, il 64% non ha accesso all’acqua corrente, il 62% dei braccianti immigrati impegnati nelle stagionalità agricole non ha accesso ai servizi igienici”.

600 milioni di euro l’anno è, secondo il Governo, il danno prodotto dal caporalato all’economia italiana, e quindi al sistema fiscale, a causa del mancato gettito di contributi e tasse. Numeri monstre che però l’agricoltura condivide con l’edilizia.

C’è il problema del lavoro sommerso e del danno alle casse dello Stato. E poi c’è il problema del danno contributivo ai braccianti agricoli che pensano di svolgere giornate di lavoro regolari invece si ritrovano alla fine dell’anno a fare i conti con giornate di lavoro non denunciate che li mettono in difficoltà per accedere alle prestazioni Inps.

“Aboubakar Soumahoro, presidente della Lega dei braccianti, gira nei campi e ascolta le vittime: «Ci raccontano storie da brividi. Troviamo lavoratori che a fronte di 20 giorni di lavoro effettuati si ritrovano 3 o 4 giornate dichiarate all’Inps. Questo vuol dire – si fa notare nell’articolo – che non avranno i requisiti per chiedere la disoccupazione agricola. Eppure, rispetto alle 6 ore e mezza di impiego pattuite, ne fanno il doppio e con una paga inferiore. Le donne sono doppiamente discriminate»”.

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