Caporalato dell’uva, tra i braccianti anche minori: “dovevamo pagarci pure le forbici”

TREVISO – E’ partito il processo a carico di una donna italiana (M.C., 51 anni) e due pakistani (D.K., 33 anni, e J.A., 32 anni) con l’accusa di intermediazione illecita di manodopera (cd. caporalato), sfruttamento del lavoro, incendio aggravato e tentata violenza privata, nei confronti di lavoratori stagionali agricoli sfruttati durante la raccolta dell’uva nel trevigiano. Tra loro c’erano anche minori.

Ieri durante il processo, secondo quanto rivela il quotidiano Il Gazzettino in edicola oggi, ha testimoniato uno dei braccianti finiti nella rete del caporalato, sfruttamento e riduzione in schiavitù.

“Mi avevano promesso una paga di 6 euro all’ora e un contratto regolare – ha dichiarato il bracciante – . Ma non ho mai visto né i soldi né il contratto. Anzi quando sono andato a protestare hanno minacciato di morte me e anche la mia famiglia, rimasta in Pakistan”.

L’accusa, grazie a queste testimonianze, ha messo in luce anche le circostanze disumane e gli ambienti insalubri in cui i lavoratori erano costretti a vivere: “30-35 persone in due appartamenti, 5-6 per stanza. Non c’erano letti per tutti. Alcuni dormivano per terra”.

Dalle testimonianze è emersa anche la ‘giornata tipo’ di questi lavoratori dei campi, che erano stati costretti a pagarsi anche gli strumenti di lavoro, le forbici, oltre che l’alloggio e il cibo:

“Sveglia alle 5:30 per raggiungere i campi senza dare troppo nell’occhio, mezz’ora di pausa pranzo e poi un’altra mezza giornata a spaccarsi la schiena chini sui campi o tra i vigneti. Niente guanti anti-taglio, occhiali o scarpe antinfortunistiche. ‘Le scarpe erano le nostre. Ci davano le forbici per le vigne ma dovevamo pagarci pure quelle, oltre all’alloggio e al cibo – ha spiegato il testimone -. In cambio del mio lavoro ho ricevuto solo qualche pacchetto di sigarette. A chi si lamentava di più davano 10 o 20 euro ogni tanto perchè stessero buoni’ Se qualcuno faceva la voce grossa i caporali chiudevano le utenze lasciando i braccianti senza luce, acqua e gas oppure passavano direttamente alle intimidazioni. Il ventaglio di minacce era ampio: dalla denuncia alla polizia di chi era irregolare in Italia, alla morte, passando attraverso le ritorsioni sui famigliari rimasti in Pakistan”.

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