Sardegna. Le ingenti risorse finanziarie a disposizione della Regione debbono essere utilizzate per affrontare l’emergenza sociale. Un impegno che la Regione non può disattendere

Il 2021 ha reso ancora più evidente per gli effetti della pandemia, le criticità economiche e sociali della Sardegna. Nonostante alcuni timidi segnali di ripresa restano preoccupanti diversi indicatori, e testimoniano l’urgenza di affrontare con maggiore determinazione ed efficacia la questione sociale come aspetto primario della crisi in cui versa l’Isola. Le caratteristiche di questa vera e propria emergenza, ormai quasi endemica, riguardano la povertà materiale e l’esclusione dal godimento dei servizi primari, a iniziare da quelli sanitari, gli squilibri territoriali e dello spopolamento (che penalizzano ormai decine e decine di comunità), la disoccupazione giovanile e di genere, la precarietà del lavoro.

Sono aspetti di una crisi che riguarda un modello di sviluppo condizionato da vincoli esterni (ad esempio la condizione di insularità e la necessità di recuperare le pari opportunità rispetto alle altre regioni che usufruiscono della contiguità territoriale), ma anche da vincoli interni (ad esempio l’insufficiente efficienza ed efficacia dell’azione politica e istituzionale nella programmazione dello sviluppo e nella spesa delle risorse finanziarie). Problemi, questi che vengono da lontano, e che non si è ancora riusciti ad affrontare con la necessaria capacità e determinazione nonostante la disponibilità di ingenti risorse finanziarie provenienti in tanti anni dalla programmazione europea; ciò anche perché la loro destinazione ha di fatto sostituito gli interventi dello Stato e della stessa Regione nelle finalità ordinarie e di loro più diretta competenza.

L’ingente disponibilità di risorse finanziarie rappresenta un valore aggiunto solo se la loro programmazione fa riferimento a un modello di sviluppo in grado di creare ricchezza economica e sociale, e a una organizzazione istituzionale efficiente ed efficace come soggetto regolatore e di spesa. Un aspetto tanto più importante se si pensa che il 2022-27 vedrà la Regione Sardegna con una disponibilità finanziaria senza precedenti. Al netto del PNRR, del FEASR e FSC 2021-2027 la Regione dovrà infatti spendere 1,3 miliardi del POR FESR-FSE-FEASR 2014-2020 (dato ispettorato generale rapporti finanziari con l’unione europea “IGRUE”, del Mef, al 30.6.2021), 1,56 miliardi di FSC 2014-2020 (sempre dati monitoraggio IGRUE), oltre che programmare e spendere 2,9 miliardi del POR FESR-FSE 2021-2027. A ciò si aggiunga che le Regioni dovranno gestire 66 miliardi di euro del PNRR, di cui il 40% dovrebbe essere indirizzato al SUD, con la Regione Sardegna che, rispondendo agli avvisi con progetti validi, potrebbe aspirare a ulteriori 4 miliardi di euro. A queste si dovrebbero peraltro aggiungere le risorse del Piano di Sviluppo e Coesione 2021-2027 che, secondo quanto annunciato nei giorni scorsi, ammonterebbero tra i 4 ed i 5 miliardi. Un ammontare imponente di risorse che richiede efficacia ed efficienza nella programmazione, attuazione e spendita, a proposito della quale vale la pena di ricordare che la Banca dati sugli investimenti regionali attesta un numero di opere incompiute per regione nel 2020 di 40 nel Sud (comprese le Isole), contro le 16 al Centro e le 8 al Nord, con la Sicilia che ne presenta 133 e la Sardegna 53.

Accanto al problema delle opere, da intendere come necessaria infrastrutturazione materiale, dove la Sardegna registra uno storico ritardo( da inserire in questo aspetto anche il sistema delle reti e dei trasporti), la lotta alle povertà e per un lavoro sufficiente e dignitoso rappresenta una priorità ineludibile, documentata dal numero notevole delle persone e dei nuclei familiari che vivono in una condizione di povertà assoluta, relativa o di scarsa disponibilità di risorse finanziarie e materiali. Si pensi infatti solo alle 51.182 domande di NASPI presentate alla data dell’11.10.2021, alle 22.522 domande sui Fondi di solidarietà, alle 69.578 domande di CIG in deroga, alle 34.225 di CIG ordinaria, ai 56.437 nuclei familiari coinvolti (gennaio-agosto 2021) dalle domande di Reddito di cittadinanza (importo medio mensile Euro 543,04), ai 5.937 nuclei coinvolti dalle domande di Pensione di cittadinanza (importo medio mensile 274,27). La Banca d’Italia ha documentato per la Sardegna, per il 2020, e per il 2021 è probabile che non si discosterà di molto, una riduzione del reddito disponibile delle famiglie del 5,1% rispetto all’anno precedente, contro la media del 2,7 in Italia. Il ricorso alle prestazioni sociali, indispensabili in questo contesto, può mitigare il peso della povertà, ma rappresenta nel contempo un indicatore del livello di difficoltà delle famiglie e dello stesso sistema produttivo di produrre ricchezza e di garantire una sua più equa distribuzione.

Save the Children ha evidenziato come più di un minore su cinque (22,8%) viva in condizione di povertà relativa commisurata agli standard di vita prevalenti in una determinata area geografica. Una percentuale superiore alla media nazionale.

Anche le pensioni, per la gran parte, hanno importi al di sotto dell’indice di povertà relativa. Esclusa la gestione dei dipendenti pubblici, in Sardegna, le pensioni di vecchiaia sono 187.699 con un importo medio mensile di 1.136,62 euro; quelle di invalidità 37.642 con un importo medio mensile di 660,63 euro;  le pensioni ai superstiti sono invece 91.232 per un importo medio mensile di 612,16 euro; le pensioni- assegni sociali 31.208 con un importo medio mensile di 462,09 euro; le pensioni per gli invalidi civili sono 126.362 con un importo medio mensile di 430,73 euro. Il totale delle pensioni arriva dunque a 474.143 per un importo medio mensile di 762,73 euro. Anche rilevando che si tratta del numero delle pensioni, va evidenziato che si è di fronte a importi ben al di sotto di quelli del Centro e del Nord del Paese; la storia lavorativa dei sardi nel privato e nei servizi è infatti spesso costellata di crisi produttive, di ammortizzatori sociali, disoccupazioni e precarietà.

Gli squilibri territoriali e lo spopolamento sono l’altra emergenza rilevante dell’Isola. Offrire dei bonus per incentivare la permanenza nelle aree e nei comuni dove persiste questo fenomeno è del tutto inutile se non si valutano le cause che lo determinano. L’assenza o la carenza di infrastrutturazioni materiali e immateriali (ad esempio il sistema delle reti), le difficoltà nel godimento dei servizi primari (sanità e scuola in primo luogo), il lavoro che manca per la mancanza di adeguate realtà produttive, le irrisolte problematiche dell’allevamento e il vuoto delle politiche per le aree rurali e i comuni demograficamente minori, sono solo alcuni degli aspetti più evidenti dello spopolamento e degli squilibri territoriali.

E’ utile evidenziare che su 377 comuni 258 sono sotto i 3000 abitanti, con 528.753 residenti, e il 31,6 % della popolazione regionale, e che 31 comuni dell’Isola rischiano l’estinzione tra 10 e 60 anni. Nel 1961 la popolazione dei comuni dell’interno era il 51% del totale regionale. Il 19,4% in più rispetto ad oggi. L’area costiera ha avuto un aumento di più 52% rispetto allo stesso periodo. Oltre all’aspetto demografico è necessario rilanciare il tema delle aree interne come dimensione economica e sociale in difficoltà e sulle quali è indispensabile intervenire. Il 90% dei comuni delle aree interne ha una popolazione inferiore ai 5000 abitanti, l’83% ha una popolazione inferiore ai 3000 abitanti. Tutti i comuni sardi ricadenti in aree periferiche e ultra-periferiche (secondo la metodologia DPD-UVAL) hanno una vocazione prettamente rurale.Si è dunque di fronte a una realtà che necessita di provvedimenti legislativi, di misure e strumenti, di impegni finanziari che vanno programmati e attuati anche con un forte e diffuso coinvolgimento delle rappresentanze economiche e sociali. E’ questo l’appello che il sindacato lancia alla Giunta regionale che però sembra intenzionata a procedere in solitudine. Un errore che rischia di compromettere le possibilità di spendere presto e bene le ingenti risorse finanziarie disponibili per rilanciare lo sviluppo e il lavoro nell’Isola. Fare da soli non è un buon viatico neppure per gli esecutivi forti, figuriamoci in una situazione come la nostra, caratterizzata da difficoltà obiettive e vincoli di diversa natura che per essere superati necessitano di unità di intenti, di apporti programmatici e di capacità attuative sia a livello locale che regionale.

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Fonte: cisl.it