Alternanza scuola-lavoro, “studenti vanno in azienda per formarsi e non per lavorare gratis”

Sale la polemica per i tragici fatti di Udine accaduti lo scorso venerdì, quando in fabbrica a perdere la vita, per la prima volta in tempi recenti, è stato un giovane ragazzo di appena 18 anni, che non era un operaio addetto alle normali mansioni aziendali, ma un semplice studente di scuola superiore che seguiva l’alternanza tra scuola e lavoro.

La notizia viene riportata da tutti i principali quotidiani nazionali che non mancano di far notare come nella vicenda ci siano delle ambiguità sulle circostanze legate alla sua presenza nel reparto in cui ha perso la vita. Il giovane doveva infatti essere ‘addetto alla formazione’ e non al lavoro.

Ecco quanto scrive il quotidiano Corriere della Sera in edicola oggi:

”Lorenzo Parelli, il povero ragazzo di 18 anni morto all’ultimo giorno di stage in una azienda meccanica in provincia di Udine, si trovava nello stabilimento della fabbrica nell’ambito di un progetto di formazione professionale regionale, pensato dal Friuli Venezia Giulia per ridurre il gap di competenza sul territorio. Lorenzo andava a scuola, frequentava il quarto anno delle superiori e il suo tirocinio rientrava comunque nel programma di alternanza scuola-lavoro che adesso si chiama Pcto: Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. L’iniziativa, nata con al riforma della Buona scuola del Governo Renzi, dovrebbe consolidare le conoscenze dei ragazzi e orientarne il percorso di studi. Non certo metterli in pericolo di vita o utilizzarli come manodopera non pagata. Gli istituti professionali dedicano all’alternanza 210 ore, gli istituti tecnici 150 e i licei 90. Si svolgono appunto, prestazioni pratiche o anche solo visite nelle sedi delle istituzioni, dipende dal piano scolastico”.

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