Si paga in queste ore la mensilità di marzo del Reddito di Cittadinanza. In anticipo rispetto alla canonica data del 27 del mese, ma solo perché, come TuttoLavoro24.it aveva già segnalato, il 27 di marzo cade di domenica: Inps ha quindi deciso di erogare il pagamento qualche giorno prima.
C’è stato però chi, come già successo nel mese di febbraio, si è visto revocare il sussidio. Rispetto a gennaio, a febbraio sono state circa 500.000 in meno le persone che hanno ricevuto il Reddito di Cittadinanza, e altrettante rischiano di essere quelle che non lo riceveranno a marzo. Molti cittadini si trovano così a dover stringere ulteriormente i buchi alla cintura, soprattutto quelli per cui il Reddito di Cittadinanza è l’unica fonte di sostentamento.
Ma a meno che non vengano meno i requisiti per beneficiare del sostegno, per esempio a causa dell’innalzamento del valore ISEE (in tal caso il diritto a godere della prestazione decade), la revoca di RdC non è definitiva, bensì temporanea. Purtroppo però c’è anche il caso di chi si è visto revocare il sussidio e adesso deve restituire all’INPS quanto ricevuto indebitamente negli anni precedenti. Vediamo le due situazioni.
Come anticipato, se i requisiti per avere RdC sussistono ancora tutti nonostante il pagamento non sia avvenuto, il diritto a beneficiare del sussidio non è decaduto. Questo significa che il diritto al Reddito di Cittadinanza è stato semplicemente sospeso. Ma perché?
Il motivo è probabilmente da ricercare nel mancato aggiornamento della dichiarazione sostitutiva unica (DSU). La DSU infatti è un documento necessario per continuare a ricevere il beneficio, visto che contiene dati anagrafici, reddituali (ISEE) e patrimoniali del nucleo familiare. Pertanto, non aver presentato l’aggiornamento o averlo presentato in ritardo (ossia dopo il 31 gennaio 2022), comporta la sospensione del pagamento. Il pagamento viene sospeso finché non verrà presentato l’ISEE aggiornato.
A volte può succedere che i motivi della revoca del Reddito di Cittadinanza non siano da riscontrare nel mancato aggiornamento ISEE, ma in altre cause che non solo portano alla sospensione definitiva del sussidio, ma anche alla restituzione dell’intera somma ricevuta indebitamente fino al momento della revoca. Se uno dei motivi della revoca che porta alla restituzione è da riscontrare nel mancato requisito di residenza (con responsabilità dell’Inps e del Comune, i quali avrebbero dovuto controllare i requisiti preliminari e rifiutare la domanda in prima istanza), l’altro è la revoca per aggiornamento del patrimonio mobiliare o a seguito dei controlli degli Enti preposti.
Il problema maggiore sorge quando la cifra da restituire è molto alta. Chi beneficia di RdC infatti non dispone di grandi quantità di denaro e restituire somme che possono aggirarsi anche sui 20.000 euro può diventare impossibile (l’ultima segnalazione che ci è arrivata, per esempio, parla di €22.000 di debito). Inoltre, come se non bastasse, il termine che impone INPS per la restituzione (in questo caso parliamo di tutto il percepito) è di 30 giorni dalla notifica della comunicazione.
Cosa può fare quindi il percettore per restituire a INPS la somma dovuta? Ci sono due strade:
Per venire incontro al debitore, l’Ente Previdenziale può anche decidere di compensare le somme indebite con altri crediti di altra natura spettanti al soggetto richiedente o ad altro componente del nucleo familiare, che fruisca o verrà a beneficiarne in futuro. In caso di mancato rimborso, l’Inps procederà al recupero coattivo dell’importo con la collaborazione dell’Agenzia di riscossione.
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