La scuola italiana è ferma a 20 anni fa, i soldi vengono spesi male e i ragazzi non aspirano a diventare insegnanti.
Questi sono solo alcuni degli aspetti sconfortanti della scuola italiana presentati a Roma lo scorso 17 novembre ed emersi dal nuovo volume “Scuola, i numeri da cambiare“, redatto da Fondazione Rocca in collaborazione con l’associazione TreELLLe.
La scuola italiana fotografata dalla ricerca risulta immobile da 20 anni. Rispetto al PIL l’Italia spende poco per l’istruzione, ma la spesa per studente risulta in linea con la media europea, addirittura più di quella di Francia e Spagna: tradotto, spendiamo poco e male.
Studenti che non sembrano interessati a intraprendere la carriera di docente: tra gli studenti quindicenni in Italia solo 1,1 su 100 vuole diventare insegnante. Forse scoraggiati anche dagli insegnanti stessi, che guadagnano poco e il cui stipendio aumenta solo per anzianità.
Al riguardo, è bene sottolineare che gli insegnanti italiani sono i più anziani d’Europa: l’età media è di 50,2 anni, 10 anni in più rispetto alla media europea. Al momento dell’ingresso in ruolo, infatti, l’età media dei docenti italiani supera i 40 anni, età media dell’intero corpo docente in altri paesi.
A farne le spese è la preparazione degli alunni: circa il 50% dei maturandi, infatti, esce dalla scuola superiore senza aver sviluppato competenze sufficienti in italiano e in matematica (dati Invalsi).
Tutto ciò va inserito in un contesto che per i giovani è già abbastanza drammatico così: in Italia i NEET (i giovani che non lavorano e non studiano) sono sempre di più e il tasso di disoccupazione giovanile e di abbandono sono tra i peggiori a livello internazionale.
Per cambiare rotta e rilanciare la scuola occorre un’alleanza tra pubblico e privato, come suggerito dal leader di Confindustria Carlo Bonomi e il cui appello è stato accolto dal Ministro per l’Istruzione Giuseppe Valditara:
“Fin dal mio insediamento a Viale Trastevere ho proposto una grande alleanza per il merito che coinvolga famiglie, ragazzi, insegnanti, imprese e sindacati. Dobbiamo sbloccare l’ascensore sociale, aggredire il mismatch, con un miglior orientamento e il rilancio dell’istruzione tecnica, semplificare realizzando una decisa sburocratizzazione.”
D’altronde, gli spunti da cui partire ci sono: il PNRR contiene già dei buoni elementi per innovare la didattica e il patrimonio scolastico, realizzando, ad esempio, ambienti funzionali e centrati sulla necessità degli studenti. Basterà metterli in pratica.