RdC, chi lavora perde l’80%: “è una tassa, va cambiata”

Il Reddito di Cittadinanza è compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa da parte di uno o più componenti il nucleo familiare percettore, fatto salvo il mantenimento dei requisiti previsti. Ma l’importo del sussidio viene ricalcolato, cioè tagliato, sulla base dei nuovi redditi percepiti.

Una norma questa che, anziché favorire la ricerca di lavoro, l’ha – col tempo – disincentivata. Ne è convinto l’economista Massimo Baldini che su Lavoce.info suggerisce al Governo come andrebbe ridisegnato il sussidio a partire dal 2024, quando con l’abrograzione del RdC, sarà introdotta una nuova forma di sostegno al reddito.

“Va ripensato il rapporto tra Rdc e lavoro. Se chi lo riceve inizia un’attività come dipendente – scrive Baldini -, il trasferimento diminuisce di 80 centesimi per ogni euro guadagnato lavorando, che diventano 100 dopo il rinnovo della dichiarazione Isee. Di fatto, è come se vi fosse un’imposta sul reddito da lavoro con aliquota effettiva molto alta. Sono previste forme di compatibilità con lavori occasionali o saltuari, ma non fanno parte di un disegno organico e strutturale della misura. In Italia vi sono tantissimi posti di lavoro con salari bassi e in molti nuclei che ricevono il Rdc vi sono persone che lavorano, evidentemente in occupazioni poco remunerate o svolte in modo saltuario. Un sussidio ben disegnato dovrebbe premiare chi svolge un’attività lavorativa, non penalizzarlo, e potrebbe essere – assieme al salario minimo – uno strumento attraverso cui, al di là della retorica sulla dignità del lavoro, la collettività garantisce a tutti i lavoratori un reddito dignitoso”.

Insomma la riduzione del sussidio dopo che si trova un lavoro dell’80% della paga penalizzerebbe il sistema e stimolerebbe i percettori a non avventurarsi nel mondo del lavoro. Questa aliquota, che si muove come una tassa, va ridotta e portata a livello più sostenibili. Quanto c’era il REI – ‘“antenato” del RdC – l’aliquota era del 20%.