Salario minimo, il no di Meloni alla CGIL. E ‘punta’ i contratti pirata

È tornata a parlare di salario minimo Giorgia Meloni e lo ha fatto in territorio nemico, davanti ai migliaia di uditori accorsi a Rimini per il XIX Congresso nazionale della CGIL.

Cambia la platea ma ovviamente non l’opinione in tal merito: la Premier ha ribadito un secco no al salario minimo, inefficace in un Paese come l’Italia coperto per un’ampia fetta dalla contrattazione collettiva. Anzi, una soluzione che a detta sua rischia di diventare quasi dannosa:

‹‹Voglio ribadire anche a voi, con la stessa chiarezza con cui lo avevo già fatto in Parlamento qualche giorno fa, che per raggiungere questo obiettivo in una nazione come l’Italia caratterizzata da una elevata copertura della contrattazione collettiva e da un elevato tasso di lavoro irregolare, che io credo che l’introduzione del salario minimo minimo legale non sia la strada più efficace. Per una ragione semplice: perché io temo il rischio che la fissazione per legge di un salario minimo diventi non una tutela aggiuntiva rispetto a quelle garantite dalla contrattazione collettiva ma una tutela sostitutiva, e questo mi dispiace ma per come la vedo io finirebbe per fare un altro grande favore alle concentrazioni economiche che hanno come obiettivo quello di rivedere al ribasso i diritti dei lavoratori. Io credo che la strada più efficace sia estendere i contratti collettivi ai settori non coperti, allargando ovviamente così la platea dei tutelati, combattere i contratti pirata, potenziare l’attività di contrasto al lavoro irregolare e intervenire come dicevo per ridurre il carico fiscale sul lavoro››.

La Meloni si è dunque concessa anche un accenno alla lotta ai contratti pirata, completando così la risposta data alla leader del PD Elly Schlein durante il question time in Parlamento dello scorso 15 marzo, quando non aveva toccato questo aspetto.