L’indennità di disoccupazione NASpI spetta a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici che hanno perso involontariamente l’impiego e decorre dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro.
Tuttavia, c’è una categoria di persone che rischia di essere svantaggiata, perdendo quindi la copertura di alcune giornate. Vediamo nel dettaglio di chi si tratta.
Il lavoratore che rassegna le dimissioni non ha diritto alla NASpI, a meno che a dimettersi non sia una lavoratrice nel periodo di maternità (o un lavoratore in quello di paternità). La maternità scatta dai 300 giorni antecedenti la data del parto al 1° anno di vita del figlio, quando tra l’altro sussiste il divieto di licenziamento. In tal caso, si ha diritto alle stesse indennità che sarebbero state riconosciute in caso di licenziamento: ciò significa che la lavoratrice che si dimette durante la maternità ha comunque diritto alla NASpI.
Tali lavoratrici devono seguire una procedura specifica che però potrebbe ritardare il pagamento della NASpI. Le dimissioni rassegnate durante la maternità, infatti, devono essere convalidate dall’Ispettorato territoriale del lavoro.
Prendere un appuntamento presso l’Itl (necessario per accertare che non ci sia stata alcuna costrizione alle dimissioni da parte del datore di lavoro) non è sempre una cosa celere: possono volerci giorni, nei casi peggiori anche settimane. Se per la lavoratrice non ci sono conseguenze in quanto la convalida sarà comunque retroattiva, il problema semmai riguarda la NASpI.
Aspettando la convalida da parte dell’Ispettorato, infatti, si rischia di dover rinunciare a una o più mensilità dell’indennità di disoccupazione. Vediamo meglio.
Come anticipato a inizio articolo, la NASpI decorre dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro, ma solo se la domanda viene inviata entro tale termine. Se viene inviata dopo, infatti, decorre dal giorno successivo alla presentazione della domanda.
Per la neomamma, il problema sorge perché la convalida dell’Ispettorato solitamente avviene copiosamente dopo gli 8 giorni dalla cessazione del lavoro. Di conseguenza, qual è la data di cui tiene conto l’INPS? Quella di notifica dell’Ispettorato oppure quella in cui è cessato il rapporto di lavoro?
Un’informazione che si rivela fondamentale. Facciamo un esempio.
La lavoratrice che smette di lavorare il 1° aprile ma che ha l’appuntamento con l’Ispettorato in data 5 maggio riscuoterà la NASpI a partire dal 6 maggio. Di fatto, non godrà di alcuna indennità nel periodo precedente che va dall’8 aprile (8° giorno successivo la cessazione del rapporto) al 5 maggio, nonostante non abbia potuto inviare la domanda d’indennità di disoccupazione entro gli 8 giorni non per causa sua ma per cause di forza maggiore. Vero è che, se slitta la data di avvio della NASpI, conseguentemente slitta anche la scadenza.
Ma il vero svantaggio si riscontra quando la lavoratrice trova un altro impiego e la NASpI viene dunque sospesa. Poniamo il caso della lavoratrice precedente, che il 1° luglio trova un nuovo lavoro: in questa circostanza, avrà goduto della NASpI per circa 2 mesi nonostante sia disoccupata da 3.
Un aspetto, questo, che è dunque bene che INPS chiarisca al più presto.