Maha, la sua storia come quella di tanti altri

Questa storia è come tante altre, solo che io sono uno di quelle persone che dopo tutto, può ancora raccontare. Mi ricordo ancora quella mattina come fosse ieri, sentivo tutti i miei parenti urlare come è possibile? Cominciavo anche io ad avere paura. Quindi chiesi a mio zio cosa stava succedendo e lui mi rispose “Non è ora, Maha’’, ma io aggiunsi: “Qualcosa di importante?’’ E zio mi rispose con testuali parole “È scoppiata la guerra ragazzo, certo che è importante’’. In quel momento mi si gelò il sangue e diventai pallido, ero morto dentro.

Per un po’ di giorni siamo rimasti chiusi in casa, il 9 ottobre 2001, due giorni dopo la dichiarazione di guerra, mentre ero a letto sentii i miei genitori parlare, mia madre disse a mio padre che dovevano prendere una decisione importante, mio padre mezzo dormiente gli rispose “Quale decisione?’’ allora mia madre sentenziò: “Emigrare, questo non è più un posto sicuro”. Papà obiettò “Sai che dovremmo sacrificare qualcuno lasciandolo qui?’’ E mia madre: “Bisogna farlo per il ragazzo”. Non ci furono altre parole.

Il giorno dopo papà e mamma riunirono tutti in salotto, mio nonno non capiva molto di ciò che stava succedendo, ma udì le parole di papà: “Io e Giada abbiamo deciso di emigrare ma nonostante gli sforzi che possiamo fare al lavoro, il viaggio non può essere pagato per tutti, quindi facendo due calcoli, due di noi dovranno sacrificarsi rimanendo qui.’’ Zio Pepè, il fratello minore di papà, comprese la situazione: “le donne sono escluse ovviamente, quindi rimaniamo io, te, papà e Maha’’. Mamma in quel momento sentenziò: “Escludi Maha, lui parte e basta’’, e nonno: “Io rimango qui senza alcun rimorso, sono più importanti i miei figli e i miei nipoti’’, “Lo stesso vale per me’’ disse papà senza esitare e subito dopo chiese a zio cosa volesse fare, zio rispose “Anch’io rimango qui almeno avranno dei soldi con cui partire, metti caso che gli servano’’ nonno disse “Scordatelo, tu parti con loro senza dire ma’’.

Seguirono giorni di sacrifici e duro lavoro dei miei, risparmiavamo su tutto: legna, cibo, spostamenti e nessuna parola con chi non fosse della famiglia. Messa da parte una discreta cifra, arrivò il giorno della partenza, o meglio dovrei dire della fuga. Io, mia madre, mia nonna e mio zio dopo aver salutato, con dolore e preoccupazione, mio padre e mio nonno ci imbarcammo sulla nave.

Per un po’ di giorni sull’imbarcazione c’era molta armonia, fino a quando un gruppo di scafisti urlò: “Chi vuole sopravvivere dovrà lavorare per noi fino all’arrivo.’’ Io pensavo che stessero scherzando, ma non era così. Due giorni dopo, buttarono una famiglia in mare, io e mio zio dopo aver visto ciò decidemmo di lavorare, ma quello più che lavoro a me sembrava sfruttamento, lavoravamo h 24 senza mai fermarci e facevamo tutto quello che ci dicevano anche quello che non sapevamo fare e se dicevamo di no erano guai e andò avanti così per due settimane, schiavi sotto gli ordini di negrieri senza pietà.

Ci avevano messo a impacchettare della merce non meglio identificata. Una sera però successe qualcosa alla nave, urtò contro uno scoglio e stava per affondare, io dormivo e mia madre mi svegliò urlando e dicendo “Maha, sveglia Maha!’’. Vidi mia nonna a terra e andai a soccorrerla, preoccupato della sua situazione dato che aveva problemi fisici, le chiesi se fosse tutto ok e lei mi rispose con un semplice “Sì, cuore mio’’. Mio zio ed altri uomini andarono alla ricerca delle scialuppe di salvataggio, visto che improvvisamente dell’equipaggio non si ebbe più notizia. Trovarono 50 gommoni da 14 posti, calcolando che eravamo 2000 in barca, 700 di noi si sarebbero salvati ovviamente non contando quelli che sarebbero morti durante il tragitto col gommone. Zio urlava perché i passeggeri montassero sui gommoni, tutti ce la fecero e zio… si sacrificò. Ancora oggi non notizie di zio, nessuna.

Sono stato male per quattro giorni, un po’ per l’assenza di zio, un po’ perché avevamo esaurito le scorte di cibo e stavo morendo di fame, per lo meno credevo di aver finito le scorte di cibo ma non era così, infatti mia nonna una sera mi chiamò da lei e tirò fuori dalle sue tasche del pane e lo condividemmo insieme e ne lasciammo un po’ anche a mia madre.

Cinque giorni dopo, arrivammo sulla terraferma che poi si scoprirono essere le coste della Sicilia. Venimmo soccorsi e aiutati da una nave di volontari. Sul loro cartellino c’era scritto “Emergency”. A me dettero accesso alla scuola, mentre mia madre diventò badante di un riccone che la sfruttava, però la pagava bene infatti riuscivo a frequentare la scuola e a mangiare ogni mese.

Al compimento dei sedici anni, accettai un lavoretto dopo la scuola per pagarmi gli studi da solo. Finito l’istituto tecnico, cominciai a lavorare per una azienda collegata alla Sony e per otto anni lavorai ogni mattina per otto ore per loro, ferie, malattia, contributi, non mi sembrava vero. Nel 2018, infine, mi proposero di diventare socio e io… beh non ci ho pensato due volte.

Il 4 settembre 2021 pochi giorni dopo il 30 agosto, ovvero la fine della guerra in Afghanistan, dal mio paese di origine ricevetti una chiamata da mio padre, tutto tremante ascoltai queste parole: “Come stai Maha? Spero bene, in questi venti anni sono invecchiato, due anni fa purtroppo è morto il nonno di infarto, io sono vivo per miracolo, perché ormai da anni per colpa del mio lavoro in cantiere, mi sono venuti problemi che mi hanno danneggiato il cervello, siccome non ci davano mai una maschera o un qualcosa per coprirci la faccia sicuramente le schegge di ferro mi sono arrivate lì, rischio di morire dato che non ho i soldi per curarmi spero solo di rivederti prima del mio ultimo respiro’’. Quelle parole mi hanno fatto male, sentirlo in quelle condizioni è stato un colpo al cuore devo ammetterlo, quindi ho preso una decisione, tornerò da lui in Afghanistan per aiutarlo perché io non ho problemi economici e potrei pagargli tutte le cure di cui ha bisogno. Ora un altro incubo ci assilla: i Talebani. Aiutare la mia gente però è la soddisfazione più grande.

Massimiliano Distaso, classe 3° B