Una vita migliore

Era una sera come tante, Marisa rientrava a casa dal lavoro. Varcata la soglia, cominciò a sentire delle urla… “Non ce la facciamo più, non possiamo continuare così”, diceva sua mamma in lacrime. I soldi non bastavano, era così da troppo tempo, otto persone erano tante. Appena entrata in cucina, Marisa notò che i genitori, di colpo, smisero di parlare, ma era troppo tardi… aveva sentito chiaramente quel che già sapeva. E così, senza pensarci due volte, con decisione si rivolse a loro dicendo: “Mamma, papà, io vado a Genova da zio Luigi a cercare lavoro”. Dire che li lasciò stupiti è dire poco… erano rimasti senza parole, soprattutto la mamma, che sapeva bene che il rapporto tra lo zio e la ragazza non era mai stato particolarmente cordiale. “Amore! Perché vuoi andare dallo zio Luigi? Credevo che non ci andassi d’accordo”. “Sì, infatti…” rispose lei, “non mi piace affatto. Ma se vado a Genova da lui avrete una persona in meno di cui occuparvi e se, come spero, troverò lavoro, così potrò mandarvi anche dei soldi e finalmente esservi d’aiuto”. Il padre si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte “Non c’è bisogno che tu faccia questo”, le sussurrò. “Mamma, papà, non vi dovete preoccupare. Non rinuncio ai miei sogni. Ho pensato che zio vive vicino all’Università, con la borsa di studio vinta al Liceo pagherò le tasse e poi farò di tutto per mantenermi da sola agli studi”. Sentendo tutto questo, i suoi fratelli Gianni, Simone e Luca e le sorelle Giusy e Sara, corsero verso di lei per abbracciarla. In quella stanza, due genitori orgogliosi e commossi guardavano la scena. “Ma perché non ce l’hai detto prima?” diceva sua madre, tra le lacrime. E a queste lacrime si aggiunsero quelle del piccolo Simone, che aveva un’altra preoccupazione: “Allora ci lascerai”. “Non ti preoccupare, non starò via per tanto tempo, pensa che diventerò una bravissima dottoressa e che curerò Giusy”. Giusy aveva il diabete da quando era nata; i soldi servivano anche per le sue cure. Marisa era in ginocchio davanti al fratellino minore che si sentì, così, rassicurato. Quella sera, dopo tantissimo tempo, la famiglia cenò serenamente; dopo cena, tutti aiutarono la ragazza a preparare l’occorrente per la partenza.

Non è stato facile salutarsi, alla stazione, davanti al treno che l’avrebbe portata via. Si stringeva un po’ il cuore a pensarla da sola in una città molto più grande della loro Pozzuoli, aveva solo diciannove anni, ma un cuore grande e una rara maturità. Alla stazione di Genova, ad attenderla, c’erano suo zio e sua cugina Luisa. La accolsero affettuosamente, poi la portarono a casa, poco distante da lì. Appena arrivata, si buttò sul letto senza voler cenare e si riposò per il resto della giornata.

Il giorno dopo, con l’aiuto della zia Maria, entrò in ogni negozio e in ogni ristorante che incontrassero nel cammino, per chiedere se avessero bisogno di una persona. Ma nessuno sembrava cercasse collaboratori… Questo scoraggiò Marisa moltissimo, perché lei sapeva che, in realtà, la borsa di studio non era sufficiente a coprire le prime spese universitarie come aveva fatto credere ai suoi. Però, dando fondo ad alcuni suoi risparmi, la ragazza finalizzò l’iscrizione e cominciò a seguire le prime lezioni, alla facoltà di medicina. Marisa si accorse subito che le classi erano prevalentemente maschili. Un giorno, un professore, vedendo il nuovo volto, le chiese di presentarsi ai compagni. Non le andava assolutamente ma non si sentì di rifiutare, così si alzò in piedi e, timidamente, prese la parola, riuscendo solo a dire: “Salve a tutti, sono Marisa Ferrari…”; la frase venne interrotta da un coro di sguaiate risate, che vennero prontamente stroncate dal professore: “Marisa, puoi continuare a parlare, sono certo che ora i tuoi colleghi ti ascolteranno in rispettoso silenzio”. Marisa, allora, ci riprovò: “Ciao a tutti, mi chiamo Marisa Ferrari; ho diciannove anni e vengo da un paese vicino Napoli, dove ho lasciato i miei genitori, tre fratelli e due sorelle”. “Grazie, Marisa, puoi tornare a sederti”, disse l’insegnante accompagnando le parole con un rassicurante sorriso.

Quel giorno la giovane studentessa sentì vari sguardi su di sé e un fastidioso chiacchiericcio intorno, che decise di ignorare. Quello stesso giorno, una meravigliosa notizia la sorprese, una volta arrivata a casa: “Marisaaaaaaaa ti ho trovato un lavoro!!!” urlò Luisa, correndole incontro. “Un ristorante vicino alla tua facoltà cerca una cameriera, sono disposti a farti iniziare subito!”. Marisa si precipitò sul posto, voleva sentirlo con le sue orecchie, che erano pronti a farla lavorare. Così, l’indomani, dopo le lezioni svolse il suo primo turno. Le sue giornate, da quel momento, furono dure e lunghissime; si faceva in quattro per frequentare le lezioni, per essere sempre puntuale al lavoro e studiava di notte. Spesso non c’era neanche il tempo di pensare, ma la nostalgia di casa non mancava di bussare alla porta del suo cuore, riempiendole gli occhi di lacrime.

Passarono cinque, lunghissimi anni fatti di libri, tavole da sparecchiare, bisbiglii e pregiudizi da parte di vari studenti ma quel giorno arrivò… Marisa diventò una dottoressa. La sua famiglia era con lei, fece di tutto per poter pagare loro il biglietto del treno e averli accanto. E, col tempo, fece anche di più. Marisa oggi è una stimata anestesista, vive a Genova con tutta la sua famiglia, ha acquistato una casa, e i tempi difficili sono ormai un ricordo. Credere nei sogni l’ha portata lontano.

Rashid Tashfi, classe 3° C