Luis, Perù-Roma destinazione pallavolo

Mi chiamo Luis, sono un ragazzo di 15 anni e vivo in Perù. Un giorno, mentre andavo a scuola, fui colpito da un cartellone pubblicitario dove era reclamizzato un corso di pallavolo. Mi piaceva molto giocare a pallavolo e lo facevo tutti i pomeriggi con dei miei amici. Quando ne parlai con mio padre lui mi disse: “Non possiamo spendere tutti quei soldi”; in effetti la nostra era una famiglia tutt’altro che benestante e non c’era possibilità di dedicarsi ad attività che non fossero strettamente necessarie. Il giorno dopo sentii i miei genitori dire: “Luis vorrebbe giocare a pallavolo, sarebbe bello dargli questa opportunità, ma qui in Perù le opportunità non ci sono. E se andassimo dai nostri parenti a Roma? Potremmo provare a rifarci lì una vita“.

Qualche mese dopo, mio padre entrò nella mia stanza tutto trafelato: “Luis, ti mostro il biglietto dell’aereo!”. “Aereo?” Non credevo ai miei occhi, ero emozionato e allo stesso tempo mi sentivo in colpa pensando a quanti straordinari avevano fatto i miei per permetterselo. Poi aggiunse: “Prepara la valigia, domani si parte per Roma”.

Quando stavo in aereo ero tutto euforico, mi sembrava tutto nuovo: le hostess, le nuvole dal finestrino, il rombo del motore al decollo. Dopo tredici ore, incluso uno scalo a Francoforte, eccoci all’aeroporto Leonardo da Vinci, località Fiumicino. Montammo su un treno per la stazione Termini e da lì sulla metro A per scendere alla fermata Quadraro. I nostri parenti non ci poterono ospitare, erano già in tanti, perciò cercammo un alloggio.

I giorni seguenti, mentre passeggiavo nei pressi del parco, vidi sul muro un manifesto con la richiesta di lavoro: cercavano un dog-sitter. Fu questione di un minuto: presi il telefono e chiamai l’interessato il quale mi propose un colloquio per il giorno seguente. Appena sono arrivato, memorizzai subito il nome: si chiamava Marco e aveva 45 anni, occhi verdi ed era vestito elegantissimo. Marco mi fece vedere i suoi cani: erano un barboncino e un pittbull, il barboncino si chiamava Chira e il pittbull si chiamava Rochi. Iniziai subito a lavorare.

La settimana dopo, me lo ricordo come se fosse ieri, ho portato come tutti i giorni i cani al parco quando ad un certo punto Rochi scappò, io non so cosa fosse successo stava buono solo con me. Quando sono ritornato dal signor Marco, mi ha licenziato e non mi ha dato neppure i soldi che mi doveva della volta precedente. Ma io non mollai, infatti dopo due giorni trovai un altro lavoro, sempre come dog sitter però questa volta era un cane solo, si chiamava Luna, invece il signore che mi aveva assunto si chiamava Michele, aveva gli occhi scuri e veniva da Padova ed era un uomo che stava ai patti.

Dopo un anno, avevo messo da parte più di tre mila euro. Nel mese di gennaio siamo partiti per tornare in Perù e… destinazione pallavolo! Oggi ho una vita abbastanza buona, mi alleno e alleno i ragazzi della mia squadra, sapete una cosa, Michele è venuto a trovarmi deciso a comprare un perro sin pelo, razza peruviana di cui avevamo a lungo parlato.

Alessandro Leon Cecchetto, IIIB