E’ legittima il licenziamento nei confronti di un lavoratore che fa inappropriate allusioni sessuali sul posto del lavoro verso una collega. A stabilirlo è una recente sentenza della Corte di Cassazione, che aderisce all’orientamento già espresso dal Tribunale di Arezzo e confermato dalla Corte d’Appello di Firenze.
Il caso, riportato dall’edizione locale di Repubblica, riguarda un uomo denunciato da una collega e dal datore di lavoro, per aver espresso allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale.
Secondo i giudici si tratta di un comportamento «indesiderato e oggettivamente idoneo a ledere a violare la dignità della collega di lavoro», una neo-assunta adibita alle mansioni di barista.
La condotta del lavoratore può configurare una giusta causa di licenziamento. Nessuna ‘attenuante’ per il lavoratore che aveva sottolineato come «fosse assente la volontà offensiva e che in generale il clima dei rapporti tra tutti i colleghi fosse spesso scherzoso e goliardico».
La sentenza non ha fatto altro che applica il Testo Unico sulle Pari opportunità risalente al 2006, codificato in buona parte dei contratti collettivi nazionali di lavoro, in cui si stabilisce che tali condotte sono illegittime. Nello specifico sono sanzionabili tutti i «comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo».