Il dipendente infedele potrà accedere all’intero fascicolo che il datore di lavoro ha su di lui anche se si trova nel torto, comprese le informazioni ottenute con l’ausilio di un investigatore.
Lo ha deciso il Garante della privacy, che ha inflitto una sanzione di 10 mila euro (ingiunzione n. 290 del 6/7/2023) a un datore di lavoro. Ma procediamo con ordine.
Il caso lo riporta Italia Oggi nell’edizione in edicola martedì 12 settembre. Tutto nasce quando un datore di lavoro, sospettoso della condotta infedele di un proprio dipendente, incarica un’agenzia investigativa di scoprire cosa fa lo stesso dipendente durante l’orario di lavoro dopo che ha timbrato il cartellino.
Dalla relazione emerge un’effettiva infedeltà, ma quando il lavoratore chiede al capo di poter accedere ai suoi dati per potersi difendere, questi glielo nega ritenendo la richiesta troppo vaga, non facendo inoltre accenno alcuno al rapporto dell’investigatore. Il dipendente si rivolge quindi al Garante della Privacy ma nel frattempo viene licenziato. Al momento del deposito degli atti in tribunale, ecco però che spunta la relazione di cui il lavoratore era ignaro.
Alcune parti del resoconto dell’investigatore erano state usate per produrre gli atti del licenziamento, nonostante questo il Garante ha stabilito che il lavoratore ha sempre il diritto di accedere ai dati che lo riguardano e che sono in possesso del datore. Innanzitutto perché anche se non viene fornita esatta indicazione degli atti che li contengono, i dati vanno sempre forniti tutti. In secondo luogo, perché anche se la richiesta dell’interessato è generica, va comunque qualificata come istanza di accesso ai dati.
Per rifiutare la richiesta di accesso alle informazioni, il datore ha solo un modo. Se per esempio il datore volesse sospendere l’accesso ai dati al dipendente perché le informazioni in suo possesso (ad esempio la relazione dell’investigatore, come nel caso in esame) gli servono per difendere la sua versione nella causa di lavoro, lo stesso datore è tenuto a spiegarlo chiaramente e subito (entro un mese) nella risposta alla richiesta di accesso. Se non c’è questa chiarezza nella motivazione del tempestivo diniego, scatterà la sanzione del Garante.