Fare l’infermiere non piace più. Ad oggi ne mancano circa 70 mila e il numero sarà destinato a crescere visti i frequenti abbandoni del corso universitario e il sempre minore numero di candidati ai test di ammissione che non garantiranno un adeguato ricambio degli infermieri che nei prossimi anni andranno in pensione.
A tirare le somme e qualche conclusione è La Stampa di lunedì 25 settembre, che fa una triste panoramica.
L’infermiere non è più un mestiere attraente, lo dicono i numeri: quest’anno su 20.134 posti disponibili, ai test di ammissione di sono presentati in 23.540. Un calo drastico, se si pensa che 10 anni fa ci provarono circa 46 mila studenti.
La causa maggiore, inutile dirlo, è da riscontrare nella retribuzione: si superano anche le 10 ore di lavoro giornaliere per una busta paga che a malapena arriva a 1.600 euro al mese. Fattore che dal 2019 al 2021 ha spinto circa 17.800 infermieri a espatriare. Una “crisi di vocazione” la ribattezza il quotidiano torinese che forse potrebbe essere, se non risolta, comunque arginata con delle garanzie in più.
A tal proposito, la Fnopi (Federazione degli ordini infermieristici) ha scritto alla premier Giorgia Meloni chiedendo un aumento del 200% dell’indennità di specificità infermieristica (circa 216 euro lordi mensili) e nuovi sbocchi di carriera attraverso l’avvio di corsi di specializzazione dopo la laurea triennale, in linea con le altre branche mediche.
Anche perché il problema è destinato ad aggravarsi: come riporta La Stampa, secondo gli esponenti della categoria e delle Regioni servirebbero circa 25 mila infermieri l’anno per i prossimi 10 anni. Invece ce ne saranno circa 10 mila in meno, anche per via del pensionamento di 200 mila professionisti nei prossimi 15 anni.