A depositare la proposta di legge che aprirebbe alla differenziazione dei salari in base ai territori, le città o le aziende, è la Lega. Si tratta di una delle risposte politiche provenienti dal governo all’iniziativa dei partiti di opposizione di introdurre un salario minimo legale pari a 9 euro. Quella proposta, bocciata da Meloni & C. prima, e dal CNEL poi, è ora ferma nel dibattito parlamentare.
Da qui il ddl leghista, che vede tra i suoi sostenitori il senatore Massimiliano Romeo, capogruppo del partito al Senato.
La proposta della Lega ripercorre quello che aveva anticipato alcuni mesi fa il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara a proposito dell’opportunità di differenziare gli stipendi di docenti e Ata in base al costo della vita, diverso tra nord e sud Italia.
Secondo le dichiarazioni del senatore Romeo il testo di legge, darebbe la possibilità alla contrattazione collettiva di secondo livello, territoriale o aziendale, di poter prendere a riferimento il costo della vita per quantificare i “trattamenti economici accessori dei dipendenti pubblici e privati”. Insomma non si tocca il salario minimo costituzionale che resterebbe uguale per tutti. Però datori di lavoro e sindacati possono portare all’insù i salari nei territori, come quelli del Nord, dove il costo della vita è oggettivamente più alto. Oppure a livello di ogni singola azienda.
La proposte di legge aprirebbe a quello che, sotto certi profili, già accade: aziende che erogano superminimi più alti o altri emolumenti dove c’è il rischio che la manodopera fugga, accordi sindacali aziendali o territoriali che prevedono elementi economici variabili legati alla produttività a valere per una limitata platea di lavoratori, ecc. Anche se qui lo strumento sarebbe differente. Si parla infatti di retribuzione accessoria.
“Si pensi alle grandi città – dice il senatore leghista – dove l’inflazione ha degli effetti differenti rispetto ad altre zone del nostro Paese. Introduciamo con questa norma un elemento nuovo, attribuendo ai lavoratori una somma differenziata in base al luogo in cui ha sede l’azienda, prevedendo per i datori di lavoro privati un credito d’imposta per coprire le spese sostenute. Riteniamo sia una proposta di buonsenso”.
Gli fa subito eco il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon che aggiunge “la risposta al contrasto dei salari poveri non è il salario di ingresso o minimo, ma il rafforzamento della contrattazione collettiva, lo strumento adatto a tutelare concretamente le esigenze di tutti i lavoratori”.