Ex Ilva, che fine fanno i lavoratori se esce ArcelorMittal?

Per continuare a garantire la continuità produttiva dell’acciaieria Ex Ilva di Taranto servono nuovi investimenti di capitale, tra cui quelli più urgenti che servono per il pagamento di fatture arretrati di gas per funzionare gli altiforni e autotrasportatori.

Nell’incontro dell’8 gennaio con ArcelorMittal, gli attuali co-proprietari dello stabilimento, il Governo ha proposto un nuovo aumento di capitale sociale pari a 320 milioni di euro in modo da aumentare al 66% la partecipazione del socio pubblico Invitalia. L’attuale divisione delle quote azionarie è diviso Mittal al 62% e Invitalia al 38%.

Dal colosso franco-indiano dell’acciaio è arrivato un secco no, anche se nelle ultime ore hanno fatto sapere di essere disponibili ad un accordo che rivede le quota (fino a scendere al 34%) ma con il controllo sulla governance gestita al 50%.

Se l’accordo dovesse saltare, come paventato nelle ultime ore, con l’uscita di scena di ArcelorMittal, cosa accadrebbe ai lavoratori?

La posizione dei sindacati

I sindacati Fim-Fiom-Uilm non hanno mai visto di buon occhio il ‘socio straniero’, preferendo da sempre la statalizzazione dell’azienda o l’avvio di un acquisizione da parte di aziende italiane. Arcelor, d’altronde, non avendo mai investito in maniera decisa sul sito non ha mai convinto nessuno. La chiusura mostrata nei confronti del Governo, fanno sapere i sindacati in una nota, “conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese”.

La “sensazione”, a 6 anni dall’entrata in scena, è che l’acquisizione fosse da sempre finalizzata ad evitare che uno dei più grandi complessi siderurgici d’Europa finisse in mano alla concorrenza.

L’appuntamento tra Governo e sindacati è per l’11 gennaio. Da quell’incontro – continua la nota sindacale – “ci aspettiamo dal Governo una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e garantisca il controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale”.

Che fine fanno i lavoratori Ex Ilva?

Acciaierie d’Italia potrebbe arrivare a chiedere l’amministrazione straordinaria, su impulso di Invitalia, e arrivare così al Commissariamento. Lo consente il Decreto Urso varato a fine dicembre 2022 che stabilisce che il socio pubblico che detenga direttamente o indirettamente almeno il 30% delle quote di imprese che gestiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale, può attivare l’amministrazione straordinaria. Annche senza l’ok del Consiglio dei Amministrazione.

A quel punto, come già accaduto nel 2015, una volta commissariata l’Ex Ilva, grazie ad un accordo tra Governo e sindacati si potrebbe stabilire l’assorbimento di tutti i 20mila metalmeccanici verso una NewCo. Chiaro che sindacati punteranno a tutelare anche la posizione lavorativa dei dipendenti dell’indotto.

Chi potrebbe acquisire l’Ex Ilva?

Se saltano le intese con il colosso Arcelor-Mittal si fa largo l’ipotesi della costituzione di una NewCo con un nuovo partner privato, che metterebbe fine all’esperienza di Acciaierie Italia. Il più quotato in questo momento è il gruppo Arvedi che già nel 2017 si era avvicinato ad una possibile acquisizione dell’Ex Ilva.

Il gruppo cremonese fondato negli anni ‘60 nel tempo è diventato il primo produttore italiano di acciaio acquisendo lo stabilimento ex Thyssenkrup di Terni, con un fatturato di oltre 7,5 miliardi e 6.600 dipendenti. Altre aziende interessate potrebbero emergere tra quelle aderenti a Federacciai ma Arvedi sarebbe senza dubbio il partner più solido.