Ha fatto molto scalpore la sentenza della Corte Costituzionale numero 4/2024 che ripristina per i dipendenti pubblici l’incremento di stipendio legato all’anzianità. Di cosa si tratta esattamente? Vediamo nel dettaglio quali stipendi potranno essere interessati da 30 anni di arretrati.
Per comprendere cosa è successo occorre fare un passo indietro nel tempo e posizionarci nel 1990.
Nel 1990 il rapporto di pubblico impiego era regolato dal diritto pubblico, non era ancora stata istituita l’ARAN e i contratti del pubblico impiego nascevano da accordi tra l’autorità politica e le organizzazioni sindacali.
L’ultimo contratto di lavoro non regolato dal diritto privato fu varato, per il comparto delle future Funzioni Centrali, con il DPR n. 44 del 1990.
Il contratto del 1990 ribadiva il blocco dell’anzianità per tutti i dipendenti della Funzione Pubblica riconoscendo però, ai commi 4 e 5 dell’art. 9 i seguenti importi in base all’anzianità maturata entro 31 dicembre 1990:
Di conseguenza da quel momento in poi i lavoratori del comparto delle funzioni centrali (ministeri, tribunali, agenzia delle entrate, enti locali, ecc.) si sono visti non riconoscere più gli emolumenti economici automatici legati all’anzianità.
In attesa della riforma che porterà alla privatizzazione dei contratti pubblici, i dipendenti subiscono il blocco dello stipendio per quasi cinque anni in un momento in cui forte è la spinta inflazionistica.
Per quanto riguarda le maggiorazioni dell’anzianità che abbiamo riportato nella tabella, le stesse non vennero corrisposte se maturate dopo il 1991.
Con il Decreto Legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, il rapporto di lavoro per i dipendenti pubblici viene privatizzato, cioè regolato dalle norme del Codice Civile e, per i ricorsi, si passa dalla magistratura amministrativa alla magistratura civile.
In base alla nuova riforma, molti dipendenti ricorsero al giudice ordinario (e non più al TAR) e si videro riconosciuto il diritto a percepire la maggiorazione della Retribuzione Individuale di Anzianità anche per periodi in cui la stessa è maturata successivamente al 1° gennaio 1990.
Questo è un cedolino dello stipendio dove, nella parte indicata dalla freccia, compare la “maggiorazione R.I.A“. corrisposta in seguito a sentenza favorevole.
In relazione al forte contenzioso creato con migliaia di ricorsi, il Governo passa al contrattacco, in sede di emanazione della legge finanziaria per l’anno 2001.
All’articolo 51, comma 3, della legge 388/2000, il Governo escluse il diritto alla corresponsione della maggiorazione della Retribuzione Individuale di anzianità ai dipendenti pubblici in relazione al triennio 1991-1993, riservandolo solo a quelli con requisiti maturati fino al 1990 e fatto salve le sentenze passate in giudicato.
Con questa manovra, il legislatore cercò di bloccare il contenzioso in atto con una norma fatta unilateralmente a proprio favore.
ll problema sollevato dalla Consulta sta nel principio della irretroattività della legge.
Per la precisione, il legislatore, con la norma varata, ha determinato a favore dello Stato i giudizi pendenti al fine di evitare sconfitte giudiziarie con conseguente esborsi che avrebbero gravato sul deficit del bilancio dello Stato.
Dato il lungo periodo di tempo passato, è da valutare se esistono margini per un eventuale ricorso al giudice ordinario da parte di chi non ha mai aperto il contenzioso oppure se la sentenza della Corte costituzionale rimette in gioco solo i ricorsi, nel frattempo respinti dall’autorità giudiziaria.
In questo ultimo caso, non essendoci prescrizione, a chi ha fatto ricorso a metà degli anni ’90 potrebbero essere liquidati fino a 30 anni di arretrati in quanto, in caso di sentenza (essendoci stata interruzione) non opera la prescrizione.
In caso di pagamento di arretrati trentennali, poi, i contributi pensionistici dovranno essere allocati nell’anno di competenza e non di cassa. Questo significa retribuzione più alta, contributi più alti e, in futuro, pensione più alta.