Non si arresta la vicenda sindacale che ruota attorno ai buoni pasti destinati al personale sanitario.
Il ticket sostitutivo delle mensa è un diritto contrattuale che non sembra viene riconosciuto agli infermieri e agli ausiliari. Che rivendicano anche l’adeguamento del suo valore, ormai fermo da decenni.
Come accade in Emilia Romagna dove il sindacato CISL FP ha raccolto più di 5.000 firme tra i dipendenti del sistema sanitario regionale per aprire una discussione sulla qualità e il valore economico del buono pasto. Se 5,16 euro venti anni fa avevano un certo potere di acquisto, oggi quel potere è fortemente compresso dall’inflazione.
I dipendenti delle ASL emiliane e romagnole attualmente percepiscono, per i giorni di effettiva presenza a lavoro, un buono pasto di 5,15 euro. Di cui 1,03 euro a carico del dipendente, così come previsto dal CCNL.
“Le Regioni, – continua l’articolo 29 del CCNL – sulla base di rilevazioni relative al costo della vita nei diversi ambiti regionali e al contesto sociosanitario di riferimento, possono fornire alle aziende indicazioni in merito alla valorizzazione – nel quadro delle risorse disponibili – dei servizi di mensa nel rispetto della partecipazione economica del dipendente finora prevista“. In altri termini gli enti regionali possono promuovere l’incremento del buono pasto.
Ed è proprio l’obiettivo a cui mira l’iniziativa della CISL FP.
Un adeguamento degli importi, lo stop alle distinzioni tra dipendenti in orario rigido e flessibile, possibilità di utilizzarlo senza vincoli orari, eliminazione del divieto di cumulo di buoni pasto. Insieme all’obiettivo – si legge sul quotidiano Il Resto del Carlino – di “migliorare la qualità del cibo offerto ai dipendenti, sia nelle mense aziendali che nei locali convenzionati, ritenendo che un’alimentazione sana sia fondamentale per promuovere il benessere e la salute dei lavoratori”.
Il caso dell’Emilia Romagna è solo uno dei tanti che si incontra percorrendo la penisola.
Se il CCNL Sanità prevede, da oramai più di 20 anni, il diritto alla mensa o una prestazione equivalente – cioè al buono pasto – , sono ancora molte le aziende sanitarie locali che si discostano dalle previsioni contrattuali.
Prevedendo ad esempio l’esclusione del personale sanitario a tempo determinato oppure coloro che svolgono regolarmente turni. Oppure, come nel caso dei sanitari emiliano-romagnoli, il divieto di cumulo, l’utilizzo in orari determinati. Tutte limitazioni che non fanno altro che impedire il libero utilizzo di quello che oltre ad è essere un fringe benefit, è un diritto contrattuale a tutti gli effetti.