Secondo i recenti dati Istat in Italia sono 4 milioni e 203 mila i lavoratori e le lavoratrici con contratto di lavoro partt-time.
La maggior parte di loro avrebbe firmato un contratto di lavoro precario, a tempo parziale, senza realmente volerlo. Una “costrizione” e non una libera scelta di avere più tempo per la propria vita e la famiglia. E’ quanto scrive il quotidiano il manifesto in edicola il 7 maggio, sulle cui colonne si legge:
“Più che una scelta una costrizione dovuta alla necessità di lavorare e all’assenza di altre possibilità”.
Cadrebbe in questo modo quel paradigma che vuole che il part-time sia il contratto che più di tutti garantisca la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.
La verità però non arriverebbe dai dati Istat, che da soli “non parlano“. Ma da un report del Forum Disuguaglianze e Diversità presentato al Senato nel corso di un evento. Secondo quanto si apprende ad essere “colpite maggiormente dal part-time involontario sono le donne, che già rappresentano circa i tre quarti delle persone occupate a tempo parziale”. Ovvero parliamo di circa 3 milioni di lavoratrici.
“Un’analisi impietosa e approfondita – scrive il manifesto – che rende visibile che il part time involontario è contemporaneamente discriminante per le donne , agisce a svalorizzare il loro lavoro, acuisce le difficoltà di conciliazione e le rende meno libere e ostaggio di imprese e servizi”.
Lo studio dice anche che part-time, in una buona fetta dei casi, è anche sinonimo di “disattenzione alla qualità del lavoro”. Sono il 12% del totale le imprese che usano il part-time in modo strutturale e i numeri si alzano se ci si sposta verso Sud, dove ad essere coinvolti sono immigrati, persone con basso titolo di studio e lavoratori a termine