Sui salari l’Italia è ancora una volta il fanalino di coda in Europa. Se negli ultimi 30 anni i salari reali dei lavoratori italiani sono scesi del 1%, come dice l’OCSE, non va meglio l’analisi degli ultimi anni.
La guerra Ucraina, la crisi energetica e il rialzo dei prezzi hanno indebolito ulteriormente il potere d’acquisto dei dipendenti italiani, dei settori pubblici e privati.
Così che, come scrive il quotidiano Milano Finanza in edicola oggi, ”la retribuzione reale per dipendente è scesa dell’8% tra il quarto trimestre 2019 e quello del 2023, secondo i dati Unicredit, contro un -3% medio dell’Eurozona”.
Il fenomeno, come detto, è noto da anni poiché è praticamente inconsistente, nel nostro Paese, la dinamica di crescita dei salari in base alla produttività. Fatta eccezione per alcune grandi imprese.
Mentre dall’altra parte la spirale salari-prezzi viene monitorata a livello di politica economica, nel senso che non si vuole che i salari crescano troppo perchè sono in grado – come è stato dimostrato in passato, negli anni ‘80 – di far salire esageratamente i prezzi, e quindi l’inflazione. Frenando la crescita economica.
Per questa ragione, ricorda Milano Finanza, la crescita dei salari è sotto la lente della BCE “per i timori di una impennata dell’inflazione tale da rendere più difficile il ritorno al 2%. Tuttavia la retribuzione reale per dipendente è scesa in media nell’Eurozona”. Ed è questo il primo motivo per cui i salari non saliranno particolarmente o comunque non si recupererà la perdita dell’8%.
Nonostante gli osservatori economici confermano che “non si vedono rischi di spirali tra salari e prezzi”.
”I lavoratori – continua il quotidiano economico – stanno tentando di recuperare potere d’acquisto ma lo stanno facendo soltanto in parte, frenando così le previsioni al rialzo sull’inflazione”. I lavoratori possono recuperare salario solo attraverso il rinnovo del contratto collettivo, al netto dei miglioramenti economici individuali.
Ma i rinnovi dei CCNL sono molto lenti. Esemplari sono i casi del CCNL Terziario Distribuzione e Servizi rinnovato lo scorso marzo dopo più di 4 anni di carenza, ed una copertura economica che varrà per ben 8 anni. Di fatto facendo saltare ai lavoratori del commercio e servizi una tornata contrattuale. Ma anche dei CCNL dei comparti pubblici, come il caso del CCNL Istruzione e Ricerca sottoscritto definitivamente il 18 gennaio 2024… relativamente al triennio 2019-2021.
Il terzo motivo che influisce e influirà sulla mancata crescita dei salari e il recupero del potere d’acquisto perduto è l’assenza di politiche salariali da parte del Governo.
Fatta eccezione del Bonus Meloni (decontribuzione 6-7%) e del Bonus Mamma (solo per chi ha almeno 2 figli nel 2024) che però riguardano una cerchia ristretta dei lavoratori e lavoratrici.
Inoltre il Governo guidato da Giorgia Meloni ha già detto no ad ogni proposta di introduzione del salario minimo legale né ad ogni altro intervento che rafforzi la contrattazione collettiva. Come dimostra l’assenza di iniziative politiche in questi mesi, al di là di ogni annuncio.