Potrebbe presto aumentare il valore dei buoni pasto, i voucher da 6,75 euro di media che l’azienda può decidere di riconoscere ai propri lavoratori quando non è offerto il servizio mensa.
Se fino a pochi anni fa con un buono da quasi 7 euro si poteva tranquillamente effettuare un pranzo completo, comprensivo anche di caffè, ad oggi non è più così. A pari prezzo, raramente si riesce a effettuare un pasto completo. Secondo una ricerca BVA Doxa, infatti, il costo medio per la pausa pranzo ammonta a 11 euro.
Da qui la proposta di aumentare il valore dei voucher.
Nel 2023 sono stati circa 3,5 milioni le persone che hanno utilizzato i buoni pasto concessi loro dall’azienda. In media, il 72% dei lavoratori li considera la soluzione migliore, ma c’è anche chi preferirebbe ricevere i buoni pasto in busta paga.
Accettati anche da molti supermercati o negozi di alimentari, c’è chi preferisce usare i voucher per fare la spesa piuttosto che per pagarsi il pranzo.
Anche perché, come anticipato, la pausa pranzo al ristorante ha un costo medio di 11 euro e può arrivare a costare anche 15 euro, se si intende consumare un pasto completo. Considerando che i buoni pasto hanno un valore di 6,75 euro (variabile secondo i territori e le dimensionali dell’impresa) riescono a coprire poco più della metà del pranzo, e a volte nemmeno quella.
Da qui la proposta della senatrice Paola Mancini (Fdi) di aumentare l’importo del buono pasto giornaliero.
La novità arriva dal disegno di legge “Semplificazioni in materia di lavoro e legislazione sociale”, atto Senato 672, presentato come detto dalla senatrice Paola Mancini. All’articolo 7 comma 1 lettera b, la senatrice di Fratelli d’Italia propone di aumentare l’importo detassato e decontribuito del buono pasto giornaliero da 8 a 10 euro.
Ad oggi il buono non concorre a formare il reddito di lavoro imponibile in capo al dipendente fino all’importo complessivo giornaliero di 8 euro (buono pasto digitale) o di 4 euro (buono pasto cartaceo). L’eventuale eccedenza rispetto a tale soglia viene computata ai fini della determinazione della base imponibile.
Aumentandone l’importo detassato e decontribuito aumenterebbe anche il valore netto del buono pasto, riuscendo così a coprire una fetta più ampia del costo del pranzo.
Secondo un’indagine realizzata da Altis-Università Cattolica per Anseb (l’Associazione nazionale delle società emettitrici di buoni pasto), infatti, solo nel 9% dei casi il buono pasto copre l’intero pranzo. Nel 18% dei casi non riesce a coprire nemmeno la metà e per il 48% degli intervistati copre dal 50 all’80%.