Non si ferma l’ondata di crisi del settore metalmeccanico. A dirlo sono i dati delle sospensioni dei rapporti di lavoro e le vertenze totali rilevate dal sindacato Fim-Cisl.
Al 30 giugno 2024 sono 712 i tavoli di crisi sparsi in tutta Italia: 400 dei quali interessano aziende con più di 50 dipendenti, 312 riguardano le aziende con meno di 50 dipendenti.
In sei mesi, da dicembre 2023 a giugno 2024 i lavoratori coinvolti sono passati da 84.817 a 103.451, con un aumento di 18.634 unità. Una crescita di circa il 21% con un ritmo preoccupante.
I motivi della crisi del settore sono da individuare nelle trasformazioni tecnologiche e dei processi di transizione green e digitale, che coinvolgono soprattutto il settore della produzione di mezzi di trasporto, il termomeccanico e elettrodomestici.
Quanto al calo della produzione degli automezzi sono in crisi: l’Automotive, la produzione di mezzi agricoli e macchine che svolgono movimento terra, la produzione di Bici. Quest’ultimo legato allo stop degli incentivi statali dopo il post-Covid.
Per quanto riguarda l’automotive, che in Italia coinvolge oltre 256 mila lavoratori diretti, permane il calo delle vendite, nonostante gli incentivi pubblici alla mobilità green, pari a 950 milioni di euro (per le full electric si sono esauriti in un solo giorno), come pure l’incertezza in tutto il settore. Dopo l’introduzione dei dazi in Europa sulle produzione cinesi di veicoli elettrici, molti si aspettano che, tra gli effetti dei risultati delle elezioni europee del mese di giugno, via sia anche quello di una revisione della decisione di porre fine alla produzione dei motori endotermici nel 2035. Ciò sta determinando incertezze e rinvii dell’acquisto da parte dei consumatori, e pesanti ricadute che si traducono in ore di cassa integrazione sia sui siti produttivi che sull’indotto della componentistica, che vede il nostro Paese tra i maggiori produttori ed esportatori in Europa.
Nel settore Automotive, dove Stellantis e indotto coinvolgono circa 256.000 lavoratori, i sindacati scommettono sul piano politico di rilancio promesso dal Governo.
A luglio dovrebbe verificarsi la sottoscrizione di un accordo di sviluppo che prevede la produzione di 1 milione di veicoli nel nostro Paese entro il 2030.
“L’accordo – scrive Fim-Cisl – dovrà prevedere responsabilità e impegni precisi tra Stellantis, aziende della componentistica, le istituzioni e le organizzazioni sindacali su tutti gli aspetti necessari a rafforzare il settore automotive a partire dagli aiuti per accompagnare la transizione verso la mobilità ecologica di tutta la filiera. Restano nel settore gravi ritardi rispetto all’infrastruttura per la mobilità elettrica, a cui si sommano i costi dell’energia che, pur attenuati rispetto allo scorso anno, continuano a rappresentare un gap competitivo rispetto ad altre nazioni”.