In 9 regioni italiane sono attualmente vigenti ordinanze che vietano il lavoro tra le 12:30 e le 16:00 in ragione della forte ondata di caldo che sta colpendo il nostro Paese.
Nonostante i provvedimenti però continuano ad esserci datori di lavoro che in barba alle norme continuano a far lavorare i dipendenti. Tempi stretti di consegna e scadenze ravvicinate purtroppo spingono a guardare oltre il tema della sicurezza dei propri collaboratori. E questa non è una novità solo dell’estate…. Poi c’è il problema dei controlli da parte delle autorità pubbliche: rari o in molti casi assenti, come denunciano alcuni giornali locali.
Cosa fare in questi casi? Ci si può rifiutare di prestare la propria opera quando le temperature cominciano ad avvicinarsi ai 40 °C?
In premessa va ricordato che il divieto di lavorare vige – al momento – in sole 9 regioni italiane fino al 31 agosto 2024: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Lazio, Molise, Puglia, Toscana, Sardegna, Sicilia. Altre regione per il momento restano alla finestra nonostante il pressing serrato dei Sindacati. In Umbria l’ordinanza approvata dispone, al momento, solo una “raccomandazione” e non un divieto di adibire i lavoratori al sole.
Il divieto è valido in alcune attività, dove è continua e prolungata l’esposizione al sole, come in cantieri edili, impiantistica, campi agricoli, florovivaisti. In alcune regioni, come il Molise, il divieto è stato esteso anche a cave e cantieri stradali. Escluse dai provvedimenti fabbriche, officine, magazzini, laboratori, insomma i luoghi al chiuso nei quali le temperature interno potrebbero – anche per via dei macchinari accesi, superare agevolmente anche i 35 gradi.
Se il datore di lavoro non mette in atto le azioni a tutela della salute del lavoratore, rispettando le ordinanze, il lavoratore può rifiutarsi di svolgere le mansioni assegnategli dalle 12:30 alle 16:00.
Questo non gli comporterà alcun provvedimento disciplinare che, diversamente, deve considerarsi nullo. Salvo che il datore arbitrariamente adduca una ragione diversa (finta) occultando quella reale. Sono diverse le sentenze che legittimano il rifiuto del lavoratore di svolgere le mansioni per tutelare la propria salute e sicurezza. Una delle più citate è Cassazione Civile, Sez. Lav., 29 marzo 2019 n. 8911.
Le diverse ordinanze regionali che vietano il lavoro nelle ore più calde, la violazione del divieto comporta conseguenze di ordine penale come l’arresto fino a 3 mesi e un’ammenda.
L’ordinanza n. 1 del 17 luglio 2024 della Regione Sicilia – solo per citarne una – prevede che “l’inosservanza al presente provvedimento è punita ai sensi dell’art. 650 c.p., se il fatto non costituisce più grave reato“.
Le imprese più attente e organizzate, però, non arrivano e non devono arrivare a queste situazioni limite. Nelle ore più calde si può sempre ricorrere alla Cassa integrazione per “evento oggettivamente non evitabile”, nel quale c’è anche la causale meteo. Oppure, in alternativa, far svolgere ai dipendenti – non al sole – altre attività complementari o ausiliarie, sfruttando le ore lavorative per raggiungere altri obiettivi aziendali.
“Il datore è tenuto ad osservare a tutela dell’integrità psicofisica del prestatore”: lo stabiliscono il codice civile e Testo Unico 81/2008 in materia di sicurezza.