Il principio è stato ribadito più volte dalla giurisprudenza. Il buono pasto costituisce un diritto, che se stabilito dal contratto o accordo collettivo applicato dal datore di lavoro, deve essere riconosciuto.
Sulla questione è tornata nuovamente la Corte di Cassazione a proposito del personale infermieristico (ordinanza 21440 del 31 luglio 2024). Si tratta di lavoratori che in tutta Italia stanno portando avanti battaglie sindacali per il riconoscimento del ticket sostitutivo della mensa. Una battaglia che si scontra con i problemi del sistema sanitario italiano, che per carenza di fondi taglia sui servizi e taglia sui diritti del personale.
E così molti infermieri per far valere i proprio diritti sono costretti a far ricorso al Giudice del Lavoro.
Il CCNL Personale Sanitario prevede il diritto al buono pasto per il dipendente turnista per ogni turno eccedente le 6 ore. Nulla viene stabilito con riguardo alla coincidenza di detti turni con gli orari standard dei pasti (pranzo, cena).
L’azienda sanitaria portata in Tribunale, fino ad arrivare – appunto – in Cassazione, ha sostenuto invece che il buono pasto spetta solo nel caso in cui la prestazione lavorativa di almeno 6 ore coincide con le fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto.
Tesi non accolta dal Giudice di Legittimità che ha puntellato un principio: il ticket per il pasto spetta durante l’intervallo non lavorato, sulla base delle regole definite dal CCNL applicato, a prescindere dalla fascia oraria.