In numeri impietosi arrivano direttamente dall’ISTAT: in Italia 5,7 milioni di persone sono in stato di povertà. Dieci anni fa ne erano 4,1 milioni. E cresce in numero di coloro, soprattutto tra gli operai, che nonostante un lavoro e uno stipendio, si collocano nello stato di indigenza.
Le famiglie operai povere sono cresciute in 10 anni dal 14,7% al 16,5%, con buona pace della politica che – a turno, tra centro-destra e centro-sinistra – parla di crescita del benessere. Parlano chiaro i numeri oggettivi forniti dall’Istituto di Statistica. La situazione è analoga tra operai e figure assimilate (come gli impiegati o gli autonomi).
La maggior parte di colloca al Sud: 10,2% sul totale. Ma neanche a Nord e Centro i numeri sono confortanti: 7,9% e 6,7%. La sintesi in questa tabella.
Area geografica | Incidenza della povertà sul totale (in %) |
Sud Italia e Isole | 10,2% |
Centro | 6,7% |
Nord | 7,9% |
Secondo l’Indagine rientra nella categoria della “povertà assoluta” coloro che non riescono ad affrontare la “spesa minima necessaria per acquisire i beni e servizi inseriti nel panieri di povertà assoluta”.
La spesa varia in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione, all’età dei membri, la regione e comune di residenza. Per una famiglia di 3 persone la soglia è di 1.610 euro al mese. Pertanto chi non ha capacità di spesa per 1.610 euro mese, perchè ha uno stipendio più basso di questo importo, è considerato povero assoluto.
La soglia di 1.610 euro al mese ci restituisce anche un’altra informazione. La proposta di legge dei partiti di opposizione di introdurre un salario legale di 9 euro al mese, non aiuterebbe neppure le famiglie ad uscire dalla soglia di povertà. Considerato che lo stipendio (peraltro “lordo”) che porterebbero a casa con 9 euro orari a 40 ore settimanali sarebbe di 1.440 euro.