Salari: Aumenti certi ogni 2 anni, in linea con i prezzi e addio all’IPCA

I salari devono essere adeguati ogni due anni, in linea con i rialzi inflazionistici. E’ la proposta che arriva dalla UIL del Terziario per risolvere il problema italiano delle basse retribuzioni.

Addio all’IPCA

Il primo obiettivo del sindacato è sostituire l’IPCA con indice per fissare gli adeguamenti dei minimi stipendiali. Oggi in tutti i settori l’indice IPCA viene preso a riferimento ogni 3 oppure 4 anni per il rinnovo dei CCNL. Nella Metalmeccanica la clausola di garanzia prevede l’adeguamento ogni anno nel mese di giugno, ma le parti datoriali mettono in discussione questo modello.

Secondo Uiltucs non ci sono strade alternative, occorre “sostituire l’Ipca, indicatore del costo della vita, con un indicatore basato su un paniere in linea con l’inflazione reale. Poi, portare o confermare la vigenza del contratto nazionale a quattro anni e confermare i due livelli contrattuali, nazionale e decentrato”.

L’IPCA – annualmente determinata dall’ISTAT – fa una fotografia parziale del rialzo dei prezzi (non considerata il costo dei beni energetici importati), è l’accusa mossa dal sindacato. Per questo motivo occorre prendere a riferimento l’inflazione piena.

L’IPCA non è mai stata accolta fino in fondo da ampie fasce del sindascato italiano. A partire dalla Cgil che in un primo momento non aveva firmato gli accordi interconfederali, del lavoro privato e pubblico.

Aumenti salariali ogni 2 anni

Il secondo pilastro delle mire sindacali è “prevedere l’adeguamento biennale del salario nazionale di settore all’inflazione”. Si chiede – in altre parole – di tornare al meccanismo presente in Italia dal 1993 al 2009. Quano i ccnl venivano rinnovati ogni 4 anni ma il salario era adeguato ogni 2 anni, in base all’inflazione programmata, con possibile recupero in base a quella realizzata.

Si chiede inoltre di prevedere un meccanismo che tuteli i lavoratori in caso di mancato accordo e di scostamento tra inflazione reale e aumento contrattualizzato.

La produttività va distribuita

L’ultimo punto è quello relativo alla redistribuzione della produttività. Il sindacato lamenta che in molti casi pur realizzandosi il raggiungimento degli obiettivi di produttività, le aziende non assicurano l’accesso ai benefici da parte dei lavoratori.

Per cui, occorre “estendere e rafforzare forme di contrattazione territoriale con meccanismi di redistribuzione di quote della produttività del lavoro”.

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