Per venire incontro agli esercenti, il DDL Concorrenza ha stabilito un tetto del 5% alle commissioni sui buoni pasto.
Non si è però tenuto conto delle conseguenze che questa mossa poteva avere sui lavoratori, sui quali ricadrà il prezzo delle commissioni non pagate. Per arginare il rischio, un emendamento al DDL Concorrenza posticipa la data di applicazione delle commissioni al 5%.
All’apparenza, un tetto del 5% alle commissioni sui buoni pasto è una mossa positiva per incentivarne l’utilizzo da parte degli esercenti. Ma il vantaggio è anche per i lavoratori, che hanno più posti a disposizione in cui spendere i voucher. Se spendono meno di commissioni, infatti, i bar, i ristoranti, le tavole calde, i supermercati, ecc., sono più propensi ad accettarli come metodo di pagamento.
Invece non è tutto oro quel che luccica. Perché se i costi delle commissioni dei buoni pasto passano dall’11,5% di media attuale al 5%, è logico che l’incasso per le società che li emettono viene più che dimezzato. Di conseguenza, quando venderanno i buoni pasto ai datori di lavoro, applicheranno condizioni meno vantaggiose e tariffe piene.
Per non rimetterci, le aziende saranno quindi costrette a mantenere il valore dei buoni pasto al di sotto di una certa soglia. Tutto a discapito dei lavoratori.
Per arginare il danno a carico dei lavoratori, Forza Italia ha presentato un emendamento al DDL Concorrenza, poi riformulato dal governo.
I ticket già in circolazione, infatti, potranno essere utilizzati alle condizioni attuali fino al 31 agosto 2025. Mentre solo dal 1° gennaio (e dal primo settembre per lo stock circolante dal 2024) per i nuovi buoni pasto sarà fissato un tetto massimo del 5% alle commissioni applicate dalle società di emissione.
Con questo escamotage sia le aziende che emettono i buoni pasto, sia quelle che li comprano per i propri lavoratori, sia gli esercenti, avranno tempo per adeguarsi alla novità.