Sarà più “semplice” per gli operai e gli impiegati assunti a partire dal 1996 andare in pensione. Basterà avere compiuto 64 anni di età, aver versato almeno 20 anni di contributi e ….aver rinunciato a percepire il TFR. In questo caso il TFR deve essere destinato alla Previdenza integrativa.
E’ quanto previsto da un emendamento alla Legge di Bilancio presentato dalla deputata leghista Tiziana Nisini, ex Sottosegretaria al Lavoro del Governo Draghi.
Il piano del Governo è chiaro già da tempo. Il sistema previdenziale italiano non ce la fa a reggere le uscite anticipate rispetto all’età ordinaria prevista dalla Riforma Fornero. A due anni dall’insediamento dell’Esecutivo Meloni non si sono viste nessuna delle riforme anticipate in campagna elettorale: il problema principale è la copertura di Bilancio.
E allora anziché chiedere un sacrificio alla fiscalità generale si preferisce chiederlo direttamente al lavoratore che dovrà rinunciare ad avere il TFR quale liquidazione finale del rapporto. Ricordando che sono previste anche forme di anticipo dopo 8 anni. Il nuovo sistema funzionerà così.
Gli assunti dal 1996 in poi, a cui la pensione verrà calcolata interamente con il sistema contributivo, possono andare “a riposo” all’età di 64 anni, con un minimo di 20 anni di contributi, solo se l’importo dell’assegno Inps che si andrà a percepire sarà pari a:
La proposta contenuta nell’emendamento sostenuto dal Governo è che per raggiungere l’importo pensionistico previsto dall’attuale normativa potrà essere utilizzata anche la rendita del Fondo Previdenziale complementare.
Ed è qui che entra in gioco il TFR. Se il lavoratore vuole darsi questa chance, e uscire in anticipo dal lavoro, dovrà destinare il trattamento di fine rapporto che matura ogni mese ad un Fondo di previdenza privata.
La scelta non va operata al termine del rapporto, ma durante il rapporto di lavoro, attraverso l’iscrizione e il versamento continuativo nel tempo.
Sono molti i lavoratori che da anni rinunciano mensilmente al TFR per alimentare la propria posizione contributiva presso i fondi di Previdenza Integrativa.
I fondi che registrano più iscritti sono quelli “contrattuali”, previsti cioè dai CCNL con accordo tra le rappresentanze delle imprese e sindacati dei lavoratori. Solo per citare alcuni esempi:
Il principale effetto della mini-riforma voluta dal Governo è che la rendita maturata non potrà essere goduta direttamente dal lavoratore, ma sarà “investita” per l’accesso alla pensione anticipata con cui farà cumulo.
Secondo le prime stime del Governo la norma al momento riguarderà pochissime persone, perchè stiamo parlando – al momento – solo degli assunti a partire dal 1996. Il vero effetto ci sarà nel 2030 quando i lavoratori interessati saranno 80.000 circa.
Nelle prossime ore potranno esserci anche novità sul fronte di un nuovo semestre di silenzio-assenso nel 2025, per incentivare l’adesione ai fondi di previdenza integrativa, come già anticipato nelle scorse settimane.
“Per la prima volta nella previdenza italiana si potranno cumulare la previdenza obbligatoria e quella complementare per raggiungere un assegno pensionistico pari a tre volte il minimo, riuscendo ad anticipare la pensione a 64 anni. Con il provvedimento si interviene in tema pensionistico affrontando concretamente il problema delle pensioni povere, destinate ad aumentare a fronte di un sistema contributivo che sarà più prevalente”, ha fatto sapere il Sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon.
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