Il confronto con ministeri e agenzie fiscali è ormai impietoso. I 400mila dipendenti di Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane sono considerati il “ramo cadetto” della Pubblica Amministrazione. Una sorta di serie B, pagata fino al 30% in meno rispetto ai colleghi delle amministrazioni centrali.
I numeri parlano chiaro: nel 2022 lo stipendio medio di un dipendente locale senza qualifica dirigenziale si fermava a 31.607 euro lordi all’anno, 18,9% in meno rispetto alle amministrazioni centrali. Il divario si amplia con le agenzie fiscali, dove la differenza tocca il 26,1%.
A scatenare la protesta è stato il recente decreto sulla Pubblica Amministrazione, approvato in Consiglio dei Ministri ma ancora in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il provvedimento stanzia 190 milioni di euro all’anno per allineare le retribuzioni tra ministeri e agenzie fiscali, ma ignora completamente gli enti territoriali. Problema che si aggiunge al ritardo del rinnovo del CCNL dipendenti Enti locali e l’esiguità delle risorse stanziate (130 euro di aumento), su cui è forte il dissenso di sindacati come Fp Cgil e Uilpa.
Questa decisione ha generato una reazione durissima da parte degli amministratori locali. Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza delle Regioni, ha scritto al governo denunciando l’ulteriore disparità di trattamento tra dipendenti della PA centrale e quelli di Regioni, Province autonome e sanità.
Gli stipendi più bassi non riflettono certo una minore mole di lavoro. Al contrario, negli uffici comunali e regionali la pressione dei cittadini è maggiore, le responsabilità aumentano e gli organici sono sempre più in difficoltà.
I numeri lo confermano: dal 2016 i fondi per i contratti integrativi degli enti locali sono bloccati, mentre nelle amministrazioni centrali si registrano continui aumenti. Il risultato? Uno stipendio inferiore del 15-16% rispetto ai ministeri e addirittura del 30% rispetto alle agenzie fiscali.
Questa disparità spinge sempre più dipendenti a cercare alternative migliori. Chi può, infatti, lascia gli enti locali per trasferirsi nei ministeri, nelle agenzie fiscali o nel settore privato. Il rischio è chiaro: Comuni e Regioni resteranno senza personale qualificato, proprio mentre gli impegni straordinari del PNRR richiedono più forza lavoro.
Questa battaglia supera le divisioni politiche. Fedriga (Lega), Manfredi (PD) e Gandolfi (PD) hanno unito le forze per chiedere al governo di intervenire. Tutti concordano su un punto: servono risorse per gli stipendi degli enti locali, altrimenti la situazione diventerà insostenibile.
Al momento, però, la risposta del governo non è arrivata. Nel frattempo, il divario salariale continua a crescere e la serie B della Pubblica Amministrazione è sempre più a rischio di desertificazione professionale.
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