Le misure messe in atto dal Governo Meloni nel 2024 per aumentare i redditi e ridistribuire la ricchezza tra i lavoratori hanno dato i loro frutti. Ma non sempre quelli che ci si aspettava.
A dirlo sono le simulazioni dell’ISTAT, che ha valutato gli effetti dei seguenti interventi normativi:
Vediamo nel dettaglio.
Nel corso del 2024 il Governo Meloni ha ridotto le aliquote Irpef da 4 a 3, con la soppressione dell’aliquota del 25% e la conseguente estensione dello scaglione di reddito da 0 a 28 mila euro in cui viene applicata l’aliquota del 23%. Inoltre, ha tagliato del 6 o del 7 per cento (a seconda della retribuzione mensile) il cuneo contributivo a carico dei dipendenti con reddito lordo annuo fino a 35.000 euro.
Secondo le stime dell’ISTAT questi due interventi hanno portato un beneficio di 586 euro medi annui nelle tasche di 11,8 milioni di famiglie. Si tratta di un guadagno calcolato rispetto al reddito disponibile che queste famiglie avrebbero avuto se le misure sulla decontribuzione e di riforma dell’Irpef fossero rimaste le stesse del 2023. Il vantaggio è andato al 44,9% delle famiglie residenti in Italia.
Chi invece ha beneficiato della sola riforma Irpef e non anche della decontribuzione ha avuto un guadagno medio di 251 euro, con un incremento del reddito disponibile dello 0,5%. Sono circa 9 milioni e 600 mila famiglie, il 36,8% di quelle residenti in Italia.
Le famiglie interessate da entrambe le misure che hanno registrato una perdita sarebbero invece 300 mila. Il peggioramento, pari in media a 426 euro, è riconducibile in larga parte alla perdita del diritto al trattamento integrativo dei redditi da lavoro dipendente (c.d. Bonus Irpef). Lo sconto contributivo, infatti, ha generato un aumento del reddito annuo. E quando questo supera gli 8.500 euro, il Bonus Irpef da 1.200 euro annui non spetta più.
Nel 2024 il Governo Meloni ha introdotto anche il cosiddetto Bonus Mamma, un esonero totale dal versamento dei contributi in favore delle dipendenti con contratto a tempo indeterminato madri di almeno due figli. La misura è stata rinnovata anche per il 2025, ma limitatamente alle lavoratrici con almeno 3 figli.
L’anno scorso ne hanno beneficiato circa 750 mila lavoratrici con un guadagno, rispetto al 2023, pari a poco più di 1.000 euro.
Un quarto di queste, avendo una retribuzione annua lorda superiore ai 35mila euro, non erano destinatarie dell’esonero parziale del 6 o del 7 per cento previsto per i lavoratori dipendenti nel 2023. Queste ultime, quindi, registrano il guadagno medio maggiore, pari a oltre 1.800 euro.
Infine, il Bonus Natale. L’indennità una tantum di 100 euro per i lavoratori dipendenti con reddito annuo fino a 28.000 euro ha raggiunto circa 3 milioni di famiglie (11,6% delle famiglie residenti), generando una variazione del reddito disponibile pari in media allo 0,2%.
Anche l’abolizione del Reddito di Cittadinanza dal 1° gennaio 2024 ha avuto delle conseguenze sui redditi delle famiglie. Stavolta negative. La sua sostituzione con l’Assegno di Inclusione ha comportato infatti un peggioramento dei redditi disponibili per circa 850 mila famiglie (3,2% delle famiglie residenti).
La perdita media annua è di circa 2.600 euro e interessa quasi esclusivamente i nuclei più poveri. In tre quarti dei casi si tratta di nuclei che hanno perso il diritto al beneficio (i requisiti per accedere all’AdI infatti sono più stringenti) e nel restante quarto di nuclei svantaggiati dal nuovo metodo di calcolo.
Sono solo 100 mila le famiglie che hanno tratto un beneficio dal passaggio all’Assegno di Inclusione e si aggira sui 1.200 euro. Il vantaggio deriva dal diverso trattamento dei componenti con disabilità insito nel metodo di calcolo della scala di equivalenza ADI rispetto a quella RDC. Per circa 400 mila famiglie, invece, passare dal Reddito di Cittadinanza all’Assegno di Inclusione non ha comportato alcuna variazione.
Le conclusioni che trae l’ISTAT in base a quanto detto finora sono le seguenti:
“L’intervento pubblico riduce la diseguaglianza nel reddito delle famiglie di 16,1 punti percentuali, la riduzione è più ampia nel Mezzogiorno (-16,9 punti percentuali) dove si stimano le più ampie disuguaglianze tra redditi primari. Nel complesso, tuttavia, le modifiche al sistema di tasse e benefici introdotte nel corso del 2024 e qui prese in esame diminuiscono in lieve misura l’equità della distribuzione dei redditi disponibili delle famiglie. La diseguaglianza, valutata attraverso l’indice di Gini, passa dal 30,25% al 30,40%“.