Negli ultimi trent’anni, gli infermieri italiani hanno subito una perdita di reddito stimata in 14.000 euro. Dal 2001 al 2019, il salario reale della categoria è calato dell’1,52%, mentre rispetto agli anni ’90 la perdita è ancora più grave.
Secondo il rapporto della Fondazione Gimbe, gli stipendi degli infermieri italiani restano tra i più bassi in Europa. Nel 2022, la retribuzione annua lorda di un infermiere italiano era di 48.931 dollari a parità di potere d’acquisto, quasi 9.500 dollari in meno rispetto alla media OCSE.
Il sindacato Nursind ha denunciato che questa erosione salariale è dovuta al mancato adeguamento all’inflazione e a nove anni di blocco delle contrattazioni. Inoltre, le risorse per gli infermieri sono state spalmate su tutto il comparto sanitario, riducendo ulteriormente l’impatto degli aumenti.
Di fronte a questa situazione, il Governo – tramite l’Aran – ha proposto un aumento di 172,70 euro lordi al mese per gli infermieri, distribuiti su 13 mensilità, pari a circa 2.245 euro annui. Tuttavia, questa cifra risulta insufficiente per colmare il gap accumulato negli anni.
Ecco come sono suddivisi gli aumenti:
• Stipendio tabellare: +135,00 euro/mese
• Indennità di specificità infermieristica: +15,66 euro/mese
• Indennità di pronto soccorso: +6,52 euro/mese
• Fondo risorse decentrate: +15,52 euro/mese
L’indennità di specificità infermieristica, attualmente di 72,79 euro mensili, vedrà un aumento di appena 5,22 euro nel 2024 e di 12,28 euro nel 2025. Solo dal 2026 si potrebbe arrivare a un incremento maggiore con il rinnovo del CCNL. Le risorse in proposito sono già state stanziate dalle Legge di Bilancio.
Molti professionisti ritengono questi aumenti inadeguati. A novembre 2024, migliaia di medici e infermieri hanno scioperato per chiedere stipendi più dignitosi e maggiori investimenti nella sanità. I sindacati denunciano che il fondo previsto dal Governo per il 2025 non basterà né per assunzioni né per veri aumenti salariali. E si oppongono al rinnovo del CCNL per il triennio 2022/2024 se non con ulteriori risorse, anticipandole dallo stanziamento per i rinnovi dei trienni successivi.
La ricerca della Fondazione Gimbe che mette in luce come gli infermieri italiani (lo stesso vale per i tecnici, ostetriche e ausiliari) abbiano perso 14.000 euro di potere d’acquisto negli ultimi 30 anni, mette a nudo l’inadeguatezza dell’offerta del Governo. Aumenti di appena 172 euro lordi al mese non farebbero certo la differenza. Un intervento del genere non basta per garantire stipendi adeguati a una professione essenziale per il sistema sanitario. Senza un piano concreto di rilancio, il rischio è quello di un esodo di massa e di un peggioramento dell’assistenza ai cittadini.