L’Assegno di Inclusione porta più soldi: “vale più del Reddito di Cittadinanza”

In un’intervista a Il Giornale, la ministra del Lavoro Marina Calderone è intervenuta sul tema degli stipendi in Italia. Ha riconosciuto che i salari crescono meno della media UE da oltre vent’anni, un trend negativo iniziato nel 2001.

Secondo la ministra, però, qualcosa si sta muovendo. Negli ultimi dodici mesi si registra una prima inversione di rotta, come esaltato anche dalla premier Giorgia Meloni che ha sottolineato un “incremento da ottobre 2023”. I contratti collettivi già rinnovati sono la prova che aumenti salariali sono possibili, soprattutto quando sostenuti da una contrattazione efficace, anche a livello aziendale.

Produttività e premi detassati

La vera sfida per aumentare i salari, afferma Calderone, resta la produttività. A sostegno di questo obiettivo, il governo punta sulla detassazione dei premi di risultato. Circa 3 milioni di lavoratori ne beneficiano, con un incremento medio di 1.500 euro l’anno.

Per il ministero, l’unione tra contrattazione decentrata e incentivi fiscali è la chiave per garantire crescita salariale e competitività.

Ecco le parole della Ministra del Lavoro:

«Il presidente della Repubblica ha evidenziato un limite strutturale del nostro paese. I salari in Italia crescono meno della media europea, ma non da oggi. È un dato costante dal 2001. Fortunatamente, nell’ultimo anno c’è stata una prima inversione di rotta, come ha ricordato anche Giorgia Meloni. C’è tanto da fare e i rinnovi contrattuali già chiusi hanno dimostrato la capacità di aumentare i salari. Va sostenuta questa direzione e la buona contrattazione, anche decentrata. La sfida vera però si chiama produttività, che sosteniamo anche detassando i premi di produttività. Parliamo di 3 milioni di lavoratori che già oggi aggiungono in media 1.500 euro in un anno al proprio stipendio».

Addio al Reddito di cittadinanza, spazio all’Assegno di inclusione

Calderone ha poi affrontato il tema del reddito di cittadinanza, cancellato dal governo. La misura, a suo dire, ha fallito nel suo scopo originario: portare le persone al lavoro.

I dati – spiega la ministra – indicano che, nei due anni successivi alla sua abolizione, sono stati creati un milione di nuovi posti di lavoro. La riforma del welfare non ha prodotto disordini sociali, come temuto da alcuni osservatori.

L’Assegno di Inclusione vale più del reddito di cittadinanza”

La frase chiave dell’intervista è certamente questa: L’assegno di inclusione vale anche di più del reddito di cittadinanza”.

Per la ministra, il nuovo strumento è più efficace. Mira a una maggiore selettività, aiuta chi è davvero fragile e promuove percorsi di attivazione lavorativa, integrando il sostegno economico con un progetto personalizzato di inserimento.

Parole che probabilmente dimenticano tutte le famiglie che da un giorno all’altro si sono viste tagliare un sussidio con numerose difficoltà sul piano economico, sociale e psicologico.

Due modelli a confronto: inclusione contro assistenzialismo

Il vecchio reddito di cittadinanza puntava sulla universalità del sostegno, ma ha mostrato limiti nel collegamento con il mondo del lavoro. L’assegno di inclusione, invece, punta sulla responsabilità dei beneficiari e su un uso più mirato delle risorse.

La svolta non è solo tecnica, ma culturale: dall’assistenza generalizzata all’inclusione attiva.

Riforme sociali e rischio di esclusione

La riforma del welfare ha riaperto il dibattito sulla tenuta sociale del Paese. Il governo sottolinea che non ci sono state proteste di massa dopo l’eliminazione del reddito di cittadinanza. Ma resta alta l’attenzione verso le categorie più vulnerabili.

Sindacati e associazioni chiedono che le nuove politiche continuino a garantire dignità, diritti e protezione per chi è ai margini del lavoro e della società.