La Pubblica Amministrazione può sbloccare subito gli stipendi grazie al decreto legge 25/2025: le amministrazioni locali devono solo approvare una delibera di giunta, accompagnata dal parere dei revisori dei conti. Nessuna trattativa sindacale è obbligatoria per applicare l’aumento.
Il via libera non è automatico: gli enti devono prima inserire nel bilancio preventivo le risorse necessarie. Dunque le apparenti facilitazioni trovano comunque i vincoli alle regole di Bilancio. Lo impone il decreto legislativo 165/2001, articolo 48, comma 4. Senza questa previsione contabile, niente aumenti.
C’è un punto critico: se gli aumenti fanno salire il costo del personale, si rischia di sforare il tetto di spesa fissato dalla legge 296/2006. In quel caso, potrebbero ridursi le possibilità di assumere nuovo personale. I conti vanno fatti con estrema attenzione.
Il beneficio non vale per tutti. Il testo limita l’incremento al fondo del salario accessorio dei dipendenti e alle risorse per chi ha incarichi di elevata qualificazione, anche se li definisce ancora “posizioni organizzative”.
Esclusi dirigenti e segretari comunali, almeno secondo una lettura letterale.
È prevedibile che a usare di più questa norma saranno regioni, province, città metropolitane e i comuni più strutturati. I piccoli comuni e molti enti del Mezzogiorno, con minori risorse disponibili, rischiano di restare indietro, aumentando le disparità.
Anche se il contratto attuale non ha una voce specifica per questi nuovi fondi, la norma è operativa. Si suggerisce di creare una nuova voce nel bilancio, ad esempio chiamandola “applicazione dell’articolo 14, comma 1-bis, del DL 25/2025”. La norma, però, non è retroattiva.
Gli enti dovranno ricordarsi di includere gli aumenti nel conto annuale del personale, a partire da quello che sarà inviato nel 2026. La trasparenza e l’aderenza ai limiti di legge saranno fondamentali per evitare problemi nei controlli successivi.