Assegni nel Cedolino NoiPA: Scopri quali Aumentano la Pensione e quali No. Guida per i Dipendenti Pubblici

Il cedolino NoiPA è composto da numerose voci retributive. Ognuna di queste ha una valenza diversa ai fini contributivi e pensionistici. Comprendere quali assegni siano pensionabili e quali no è fondamentale per valutare la propria posizione previdenziale e pianificare il futuro. In questo articolo analizziamo la questione riferendoci soprattutto ai due principali comparti pubblici: Funzioni Centrali (ministeri) e Comparto Scuola.

Il significato di pensionabilità delle voci retributive

Quando parliamo di “voci pensionabili” ci riferiamo a quegli importi sul cedolino che concorrono a formare la base di calcolo per il trattamento pensionistico. Significa che su queste somme vengono applicati contributi previdenziali e che, di conseguenza, influenzeranno l’ammontare della pensione futura.

Non tutte le voci dello stipendio, però, hanno sempre avuto questa funzione. Storicamente esisteva una netta distinzione tra le componenti fisse e continuative della retribuzione (pensionabili) e quelle accessorie o una tantum (non pensionabili).

Prima della Riforma Dini: Quota A e Quota B

Fino al 31 dicembre 1995, le retribuzioni del personale statale erano divise in:

  • Quota A → Voci pensionabili
  • Quota B → Voci NON pensionabili

Le voci di Quota A comprendevano stipendio base, indennità fisse e altri emolumenti permanenti. Su queste venivano calcolati i contributi ai fini pensionistici. Le voci di Quota B, invece, comprendevano compensi accessori (straordinari, premi, indennità temporanee), esclusi dal calcolo.

Inoltre, il DPR 1092/1973, art. 43, prevedeva per i soli dipendenti statali una maggiorazione del 18% dello stipendio tabellare ai fini pensionistici, un beneficio non previsto per altri comparti come Enti Locali. Tale beneficio è stato confermato dalla legge di riforma delle Pensioni e questa maggiorazione dà origine al cosiddetto “conguaglio contributivo” che viene applicato nel mese di febbraio insieme al conguaglio fiscale.


La riforma Dini e il passaggio al Sistema Contributivo

Con la legge 335/1995, meglio nota come Riforma Dini, dal 1° gennaio 1996 il sistema previdenziale italiano ha subito un radicale cambiamento:

  • Si è passati dal sistema retributivo, che calcolava la pensione sugli ultimi stipendi percepiti, al sistema contributivo, basato sui contributi versati lungo tutta la carriera.
  • Tutte le voci retributive sono diventate pensionabili, senza più distinzione tra Quota A e Quota B.

Questo ha garantito parità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati e ha reso il sistema più sostenibile sul lungo periodo.

Meglio il Sistema Retributivo o Contributivo?

Il sistema retributivo, in vigore fino al 1995 per chi aveva almeno 18 anni di contributi, garantiva pensioni più alte perché basate sulle ultime retribuzioni (solitamente le più elevate).

Il sistema contributivo è più equo e sostenibile per lo Stato, ma di solito produce pensioni più basse, poiché considera tutta la carriera, comprese fasi di retribuzione minore (inizio carriera, part-time, periodi di disoccupazione). Tuttavia, ha il vantaggio di essere più flessibile e proporzionale ai contributi realmente versati.

Per chi ha contribuzione mista (anni prima e dopo il 1996), si applicano regole di calcolo più complesse, spesso un mix tra i due sistemi.